PROLOGO
Prima di qualsivoglia considerazione sulla Brexit, è doveroso, per chiunque brami un’Europa unita sotto un’unica bandiera, dedicare un affettuoso pensiero a tutti i cittadini del Regno Unito che abbiano il cuore lacerato. Un caldo abbraccio giunga agli scozzesi e agli irlandesi del Nord, nel commosso ricordo delle tante vittime che si sono sacrificate inseguendo il sogno di “A Nation Once Again”. Analogo abbraccio giunga ai cittadini del Galles e dell’Inghilterra che si sono battuti duramente per il “remain”. Sappiano che non sono soli e in tutta Europa hanno tanti amici che non li dimenticheranno mai e che li aspettano. Dovranno lavorare sodo per sopprimere l’imperante sub-cultura dell’arroganza e soppiantarla con la cultura dell’amore tra i popoli, “uniti nella diversità”. Battaglia difficile, ma ineludibile. Gli “Stati Uniti d’Europa”, la meta che ogni cittadino d’Europa dovrebbe considerare obiettivo primario della propria esistenza, non possono e non devono fare a meno di loro. Ci si scontri anche aspramente sulle diverse “visioni del mondo”, ma preserviamo l’unità continentale come bene supremo.
LA FARSA DIVENUTA TRAGEDIA
Per alcuni è stato un giorno di lutto; per altri, un giorno di festa. Dopo circa quattro anni dal referendum che vide una piccola maggioranza del popolo britannico decidere di lasciare l’Unione Europea, la Brexit è una realtà. Fino al prossimo 31 dicembre vi sarà un periodo di transizione e poi il definitivo salto nel buio.
Con l’uscita del Regno Unito, l’Europa, almeno quella pasticciona e litigiosa che si ritrova nell’UE, non perde solo 68milioni di cittadini (13% della popolazione), ma dice addio anche al 5% della superficie, a un quarto delle acque territoriali, al 15% del PIL, a colossi industriali come Rolls Royce e Vodafone, a dieci miliardi di euro annui sotto forma di contributi, al più grande centro finanziario, a forze armate di prim’ordine (230mila effettivi tra Brtish Army, Royal Navy, Royal Marines e Royal Air Force), a prestigiose università.
Volendo valutare la possibilità di trasformare un evento negativo in un’opportunità, tuttavia, si può anche ritenere che non tutti i mali vengano per nuocere. Il discorso riguarda tutti i paesi dell’Unione e per l’Italia si tratta, in primis, di tutelare i tanti connazionali che vivono nel Regno Unito, tra i quali molti “cervelli eccellenti”. Se questi ultimi dovessero avere vita dura, creare per loro delle condizioni ottimali di rientro dovrebbe costituire un “dovere etico” da assolvere facendo salti di gioia. La loro assenza pesa molto perché abbassa il livello medio della società e dei relativi settori di pertinenza.
Di fatto, stando a quanto traspare dalle disposizioni emanate, nulla dovrebbe cambiare per i cittadini dell’Unione ivi residenti: possono continuare a vivere, a lavorare e a studiare. Lo stesso vale per i distaccati e per coloro che si trasferiranno entro la fine del 2020. Restano garantiti i diritti in termini di salute, prestazioni sociali, accesso al lavoro e all’istruzione. Almeno per ora. Prevenire, però, è meglio che curare. Al fine di far valere i propri diritti, infatti, i cittadini dell’Unione devono registrarsi per richiedere lo “status consolidato”, il che alimenta qualche preoccupazione e ha creato notevoli disagi esistenziali soprattutto a coloro che ivi vivono da molti decenni: per loro era normale sentirsi parte integrante del Paese e il fatto di doverlo ribadire con un provvedimento speciale non è stato facile da digerire.
In effetti nessuno è in grado di prevedere cosa realmente accadrà in futuro e ciò che si evince fa nascere il sospetto che si navighi a vista, il che non è certo positivo. In tanti paventano un rafforzamento del già solido legame con gli USA, soprattutto in campo commerciale, ma forse si sono fatti male i conti alla luce di ciò che traspare dagli USA.
Johnson ha ripetuto fino alla nausea che intende divergere dalle regole dell’UE. Si accomodi! Ma in che modo sarà possibile? Sull’Iran era più in linea con Parigi e Berlino che con Washington; sulla tassazione dei giganti di Internet sta preparando una tassa paragonabile a quella prevista a Bruxelles; sulle reti Huawei e 5G ha optato per l’Europa come accesso limitato; il ministro delle finanze Sajid Javid, sugli accordi commerciali, ha dichiarato di volersi concentrare prioritariamente sulle discussioni con Bruxelles. Se questo si chiama “divergere”, forse dovremo aggiungere un lemma al termine. Molto più realisticamente, quindi, si può ritenere che il Regno Unito tenterà di rimanere legato alle norme dell’UE quando ciò potrà tramutarsi in un vantaggio per i suoi interessi, per allontanarsene solo se rappresentassero una minaccia. Il gioco, però, potrebbe funzionare solo in caso di “cecità” (o complicità) degli altri paesi dell’Unione, cosa possibile e non auspicabile e, allo stato, non fosse altro per scaramanzia, da ritenere improbabile.
NON È CHE UN ARRIVEDERCI
Ogni essere umano ha il diritto di pensarla come vuole, purché rispetti le regole della civile convivenza. La storia dell’Inghilterra non ha certo bisogno di essere ribadita e ben note sono anche certe “asprezze caratteriali” degli inglesi, considerate molto diffuse, anche se è sempre sbagliato generalizzare. Degli inglesi si dice, e non da ora, che sono spigolosi, presuntuosi, permalosi, pervasi da un complesso di superiorità fastidioso e inaccettabile. Sarà anche vero in linea di massima, ma è sempre ingiusto catalogare negativamente un intero popolo, anche perché ognuno ha le proprie rogne. Sicuramente sbaglia, quindi, chi si compiaccia del distacco in virtù dei sentimenti di antipatia nutriti nei confronti della “perfida Albione”. Sbaglia perché in tal modo colpisce anche coloro che, per comportamento e carattere, costituiscono una eccezione. Non sono certo pochi, come i riscontri attuali già dimostrano, e diventeranno sempre di più a mano a mano che si renderà evidente l’abbaglio preso e la zappata sui piedi tiratasi. Già ora, comunque, se si votasse di nuovo per il referendum, il remain vincerebbe con ampia maggioranza, il che la dice lunga sull’effettiva consistenza numerica di chi voglia staccarsi dall’Europa. La storia non si scrive con i “se”, ovviamente, ma i se servono a capire gli errori commessi: questa barzelletta che non fa ridere si sarebbe potuta evitare sol che in passato si fosse anteposta l’unione politica a quella monetaria. L’Europa dei mercanti, sotto questo profilo, ha una responsabilità anche maggiore di quella imputabile al popolo inglese e soprattutto a quei parlamentari europei che si pentiranno presto di aver intonato, in modo abbastanza grottesco tra l’altro, “Auld Lang Syne” in segno di giubilo per l’uscita dall’Europa. Questo canto, noto in Italia come “valzer delle candele”, si intona in occasione degli addii e, nella notte del 31 dicembre, accompagna il passaggio dall’anno vecchio all’anno nuovo. In segno augurale, per un futuro che possa cancellare questa brutta pagina di storia, è preferibile ascoltarla nella versione francese: “Ce n’est qu’un au revoir”, invocando una nuova Europa, capace di marciare all’unisono e riconquistare il posto che la storia le ha assegnato da sempre: essere il faro del mondo.
Lino Lavorgna
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