sabato, 27 Luglio , 24

Una fidanzata in affitto, al cinema il ritratto della generazione Z

AutoprodottiUna fidanzata in affitto, al cinema il ritratto della generazione Z

E’ piuttosto frequente scorgere in sala e on demand film che trattano temi molto vicini ai millenials e alla generazione Z. Molti di essi, hanno come scopo essenziale quello di illuminare una realtà tra i giovani alquanto improntata sull’individualismo, sulla difficile sfida nel rapportarsi con il prossimo, verbalmente, ma soprattutto fisicamente.

L’avvento e l’incremento incontrastato dell’uso dei social ha generato un arretramento sostanziale nel dibattiti reali, al di fuori del comodo e confortante circuito web. Con il suo ultimo film, Gene Stupnitsky pone al centro della sua indagine il raffronto generazionale tra due protagonisti che vivono agli antipodi, reagendo in modo profondamente diverso agli stimoli della realtà quotidiana.

Una fidanzata in affitto ci narra infatti la storia di Maddie (Jennifer Lawrence) e Percy (Andrew Feldman), due protagonisti lontani anni luce per estrazione sociale e per atteggiamento nei confronti della vita.

Maddie vive alla giornata, si barcamena tra lavori precari cercando di far fronte ad una condizione di incertezza futura, riuscendo tuttavia a ricavare sempre del buono dalle sue giornate, Percy invece vive in una famiglia facoltosa e nonostante gli agi, non riesce ad essere felice e ad avere amici veri, in carne ed ossa.

La sua è una condizione di quasi totale chiusura verso il mondo reale, che il ragazzo ignora completamente circondandosi soltanto di conoscenze virtuali. E così un giorno i genitori di Percy decidono di prendere delle misure per contrastare la solitudine di un figlio sempre più impacciato nel relazionarsi con il prossimo, e pubblicano a sua insaputa, un annuncio per trovargli una fidanzata.

Maddie risponde tempestivamente all’annuncio, accettando subito l’offerta senza badare troppo al divario anagrafico. Da qui, ha inizio un incontro – scontro generazionale, capace di dare vita a momenti che oscillano continuamente tra il buffo e il disperato.

Il grande pregio di questa commedia dal titolo piuttosto trito, è quella di porre l’accento su un argomento che, nonostante possieda già numerose digressioni in svariati ambiti, merita ancora di essere esplorato, dibattuto. Perché il divario di cui ci parla il regista è qualcosa che con lo scorrere del tempo andrà esasperandosi, generando profondi cambiamenti nella percezione del piacere, del dolore, di alcune fasi rilevanti nella vita di un individuo.

Un cambiamento nei rapporti umani, ridotti all’osso se non assenti in tante situazioni, che porta inevitabilmente ad una concezione sempre più individualista della vita, sempre più improntata sulla solitudine. La visione attraverso lo schermo di un pc o di un telefono arriva a sostituire pertanto l’esperienza fisica di un momento qualsiasi, che si tratti di un evento traumatico o piacevole.

Il passo successivo è lo sviluppo di una chiusura e di un’incomprensione nella gestione di quelle inevitabili situazioni che immancabilmente la vita ci mette di fronte e che quindi sfuggono dall’essere comprese e superate con i giusti strumenti. Insomma, il titolo può trarre in inganno, illudendo il pubblico di avere a che fare con l’ennesima americanata vuota e incolore, ma la storia è densa di messaggi che fanno riflettere su una realtà tanto attuale quanto catastrofica.

Giada Farrace

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