Partiamo da una domanda: è lecito o giustificabile ignorare la propria sessualità?? E’ davvero possibile che dopo aver convissuto con se stessi per enne anni (30/40/50) ci si scopra essere omosessuali? Dunque attratti o innamorati di persone del proprio sesso??? Non credo, al massimo poteva esserci una omosessualità sottesa, latente, non palesata, archiviata, ma giammai sopravvenuta; in ciascuno di noi esiste la coscienza -o se preferiamo- l’incoscienza di sapere chi siamo e quali sono i nostri gusti sessuali. Posso giustificare solo coloro che hanno soppresso la loro natura per vergogna, per paura, per conformismo, per non dare un dolore alla propria famiglia o perché condizionati dalla società, dunque per paura di essere considerati e catalogati come “diversi”. E questo se succede ancora oggi (dove l’omosessualità è un diritto)posso ancor di più giustificare chi ha attraversato questa fase/fobia anni addietro, dove l’omofobia era collettiva e pubblica. Per cui pur essendo conclamata la propria omosessualità, essa è stata soppressa o nascosta.
Con l’entrata in vigore della legge 8 febbraio 2006, n. 54, è stato sancito il principio della BIGENITORIALITA’, ovvero L’Affido Condiviso, ossia il diritto dei figli a continuare a mantenere rapporti diretti con ciascun genitore. Viene dunque riconosciuta una centralità al minore, nonché principalmente la sua esigenza di continuare a mantenere invariati i contatti con entrambi i genitori: madre e padre. Indistintamente! Per cui nelle ipotesi di separazione matrimoniale si parla di Diritti del minore, e non più, e non solo, di diritti del coniuge. O della famiglia in generale.
Dunque si sancisce anche a livello costituzionale, da una parte il DIRITTO (assoluto ed inviolabile) DEL MINORE a ricevere l’educazione e la cura da entrambi i suoi genitori, dall’altro il Dovere ed il Diritto (irrinunciabile) di entrambi i Genitori a non essere privati senza motivo dell’esercizio della funzione educativa che permane, dunque, anche dopo la separazione.
La separazione (consensuale o giudiziaria che sia) è un diritto, e come tale deve essere esercitato da tutti ed in qualsiasi momento; pertanto, la mancanza di reddito, e quindi l’impossibilità di rivolgersi ad un legale per intraprendere una separazione, non può essere considerato un impedimento. Infatti, anche per chi voglia separarsi, e quindi intraprendere un’azione giudiziaria dinanzi al Tribunale, esiste il gratuito patrocinio, che e' un beneficio previsto dalla nostra Costituzione (art. 24 Cost.). Tutti, infatti, devono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi. E sono assicurati ai non abbienti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione con appositi istituti. Ossia il cosiddetto "patrocinio a spese dello Stato", che consenti di fornire assistenza legale gratuita a chi non è in grado di sostenere le relative spese legali.
Nell’ordinamento italiano, il matrimonio viene ampiamente disciplinato nel Libro Primo delle persone e della famiglia, dove agli articoli 150 e 151 del codice civile, viene contemplata rispettivamente l’ipotesi di separazione consensuale e quella di separazione giudiziale. Entrambe, prevedevano necessariamente il ricorso al Tribunale, in quanto, infatti, acquista efficacia e valenza la separazione anche nel caso essa sia su base consensuale, solo mediante omologa del giudice. Finalmente, oggi, dopo svariati tentativi di modificare e semplificare il procedimento di separazione, specie se voluto da entrambi i coniugi, il D.L. 132/2014 convertito in legge con modifiche il 10 novembre 2014 dalla legge n. 162, nell’ambito del riassetto del processo civile e per la riduzione dell’arretrato giudiziario, ha introdotto due possibilità: scegliere la negoziazione assistita da avvocati (art. 6, D.L. 132/2014) (che riducono notevolmente i tempi della procedura); oppure concludere un accordo presso l’ufficio dello Stato Civile, in presenza, però, di determinate condizioni (art. 12).
Nell’ordinamento italiano, il matrimonio viene ampiamente disciplinato nel Libro Primo delle persone e della famiglia, dove agli articoli 150 e 151 del codice civile, viene contemplata rispettivamente l’ipotesi di separazione consensuale e quella di separazione giudiziale. Entrambe, prevedevano necessariamente il ricorso al Tribunale, in quanto, infatti, acquista efficacia e valenza la separazione anche nel caso essa sia su base consensuale, solo mediante omologa del giudice. Finalmente, oggi, dopo svariati tentativi di modificare e semplificare il procedimento di separazione, specie se voluto da entrambi i coniugi, il D.L. 132/2014 convertito in legge con modifiche il 10 novembre 2014 dalla legge n. 162, nell’ambito del riassetto del processo civile e per la riduzione dell’arretrato giudiziario, ha introdotto due possibilità: scegliere la negoziazione assistita da avvocati (art. 6, D.L. 132/2014) (che riducono notevolmente i tempi della procedura); oppure concludere un accordo presso l’ufficio dello Stato Civile, in presenza, però, di determinate condizioni (art. 12). Nello specifico, vengono previste due nuove ipotesi: “la convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati per le soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione o divorzio” (art. 6); e “la separazione consensuale, richiesta congiunta di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e modifica delle condizioni di separazione o di divorzio innanzi all’ufficiale dello stato civile” (art.12). Il discrimine tra le due ipotesi è la presenza o meno di figli minorenni, maggiorenni ma non economicamente autosufficienti, incapaci, portatori di handicap grave.
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