Maher al-Akhras è “sospeso tra la vita e la morte”, il militante della Jihad islamica che da 98 giorni fa uno sciopero della fame per protestare contro le “detenzioni amministrative” (cioè non convalidato da un giudice) imposto dalle autorità militari israeliane.
Secondo una delegazione della lista parlamentare comunista che lo ha visitato all’ospedale di Kaplan (Rehovot), la sua morte potrebbe avvenire in qualsiasi momento.
Per i parlamentari comunisti israeliani questa situazione rischia di provocare spargimenti di sangue.
Nelle scorse settimane l’ala militare della Jihad islamica ha minacciato che in quel caso sarebbe entrata subito in azione con attacchi contro Israele.
Pochi giorni fa la Corte suprema ha respinto un ricorso presentato dagli avvocati di al-Akhras chiedendo la revoca delle detenzioni amministrative (che dovrebbero scadere a fine novembre) e il trasferimento immediato all’ospedale di Nablus in Cisgiordania.
La lotta di Al-Akhras e il deterioramento delle condizioni di salute sono seguite con grande risalto dalla stampa palestinese.
A sostegno della sua liberazione è ancora in corso una campagna internazionale che l’8 ottobre è arrivata sui social con gli hashtag #SaveMaher #DignityStrike. Residente a Silat al Dhahr, un villaggio vicino a Jenin, Al Akhras, è già stato incarcerato cinque volte, gran parte delle quali senza processo.
Al momento ci sono circa 350 palestinesi incarcerati senza accuse o processo su un totale di 4.400 prigionieri politici. Dal 1967, anno di inizio dell’occupazione di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est, sono stati emessi almeno 50.000 ordini di detenzione amministrativa.
Matteo Giacca
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