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Mandato di cattura per Netanyahu: materia per psicologi

AttualitàMandato di cattura per Netanyahu: materia per psicologi

Ѐ del tutto naturale indignarsi per la scioccante decisione del procuratore capo della Corte penale internazionale: richiesta di mandati di arresto per il premier israeliano  Benyamin Netanyahu e il suo ministro della Difesa Yoav Gallant, accusati di “crimini di guerra e crimini contro l’umanità”.

Quanto più si sia capaci di guardare alle tragedie umane con la saggezza dell’equilibrio e una buona conoscenza della storia tanto più forte è il dolore che si prova nel registrare i crescenti fremiti di antisemitismo, per giunta legittimati dai pensieri e dalle azioni di troppi uomini con grandi poteri. Si possono solo immaginare, quindi,  lo sconcerto, la rabbia e la sofferenza dei diretti interessati, per retaggio di nascita.

«Quando mi dicono che Israele fa genocidi, questo confronto diventa una bestemmia. Non usiamo questa parola davvero spaventosa», ha detto la senatrice a vita Liliana Segre durante un convegno sull’antisemitismo al Memoriale della Shoah di Milano.

Sono pienamente comprensibili, pertanto, le reazioni, emotivamente forti, protese a far comprendere l’assurdità del provvedimento. Comprensibili, ma controproducenti. Niente di più sbagliato. Confutare seriamente una dabbenaggine serve solo a conferirle “dignità di esistenza”. Di fatto, paradossalmente, più se ne dimostra con dati di fatto oggettivi l’insussistenza più la si legittima.

Come reagire, pertanto, alla violenza di chi sovverte i valori? Intanto imparando dalla storia: non è certo una cosa di oggi far passare le vittime per carnefici e viceversa. Poi occorre stroncare sul nascere ogni possibilità di amplificazione mediatica della dabbenaggine, che scaturisce proprio dalle confutazioni. Pensiamo al libro di Vannacci, per esempio, stampato a proprie spese per essere regalato a due-trecento amici, che magari lo avrebbero comodamente inserito in libreria senza nemmeno sfogliarlo. Qualcuno, invece, lo legge, ne rileva le incongruenze e la banalità concettuale, lo recensisce negativamente – un libro di trecento copie – e fa sì che se ne vendano trecentomila o forse più, assicurando all’autore fama planetaria e un incremento vertiginoso del conto in banca: se ha guadagnato solo due euro per ogni copia venduta siamo già a oltre seicentomila euro! In più vi è anche il rischio che diventi parlamentare europeo, con tutti i benefici, economici e non solo, che il ruolo assicura. Ritornando ai grandi temi, non prendere in considerazione i responsabili di azioni palesemente inconsulte resta sempre la migliore soluzione. O quanto meno se ne parli con “saggezza critica”, senza stress emotivi, spiegando solo “come e perché ” un essere umano detentore di forti poteri possa restare vittima di gravi fratture della mente.

La discussione, pertanto, va spostata sul soggetto (o sui soggetti) e non sul provvedimento che desta scandalo, affidandola precipuamente a psicologi e psicanalisti. Sono le distonie mentali che devono assumere ruolo prioritario nella comunicazione, per far comprendere che la dabbenaggine nasce da una persona disturbata, che va aiutata, non criminalizzata! Nel momento stesso in cui si riuscisse ad effettuare questa inversione di rotta, la dabbenaggine non provocherebbe nessun effetto devastante. Dacher Keltner,  docente di psicologia presso l’università dei Berkeley e grande esperto dei “paradossi del potere”, ha ben spiegato che i soggetti detentori di importanti ruoli sociali spesso agiscono come se avessero subito un trauma cerebrale, producendo atti la cui inconsistenza risulta palese anche alle persone comuni, culturalmente non evolute.

La necessità di  prendere decisioni su tematiche complesse, sia pure dopo averne esaminato tutte le sfaccettature, li porta ad agire in modo non difforme dalle masse, che selezionano vittime e carnefici sulla scorta di un pensiero inevitabilmente limitato, e quindi  fallace anche quando le scelte di campo dovessero risultare (casualmente) azzeccate.

Nell’antica Grecia questa distonia dell’essere era ben nota col termine “ὕβρις” (ìbris), ossia “insolenza” o “tracotanza”,  rivolto alle persone che manifestavano un atteggiamento di ostinata sopravvalutazione delle proprie forze  e osavano addirittura sfidare il potere degli dei. L’esempio più eclatante è l’ìbris  di Prometeo, che ingloba nella sua accezione estesa anche la successiva punizione, divina e terrena, e di conseguenza l’impossibilità  che esso possa prevalere come valore assoluto e quindi eterno. La sua forza ha – deve necessariamente avere – un breve arco di vita: se così non fosse l’umanità perirebbe. Nella società contemporanea, ovviamente, non esiste un dio che possa ordinare di incatenare nudi i tracotanti e gli insolenti con grandi poteri, dopo averli infilzati con una colonna nel corpo; è possibile, tuttavia, inquadrarli in un contesto clinico che prenda in esame le “patologie della personalità scaturite da una errata gestione del potere”. Solo gli psicologi, gli psichiatri e gli psicanalisti, pertanto, hanno il diritto-dovere di esprimersi sulle azioni di siffatti soggetti, elaborando delle diagnosi da sottoporre al vaglio di chi, detenendo altri poteri, possa proficuamente intervenire per porre rimedio ai guasti partoriti da menti disturbate. 

Gli altri farebbero bene a “glissare”, a non dare rilievo a parole senza senso. Ciò premesso, tuttavia, bisogna accettare il fatto che restare calmi al cospetto delle miserie umane non è facile. L’equilibrio è una virtù rara e l’uomo, per sua natura, agisce sotto l’influsso di spinte emotive irrazionali. Così è sempre stato e così sempre sarà, almeno fino a quando Zeus non si deciderà a scendere dall’Olimpo per punire tutti i tracotanti come fece con Prometeo.

Nell’attesa, a prescindere dalle dabbenaggini destinate comunque a restare prive di conseguenze effettive, cerchiamo almeno di insegnare un po’ di storia a quei babbei con le idee confuse che, con le loro azioni, aggiungono sofferenza a chi proprio di ulteriori sofferenze non ha bisogno, spiegando con chiarezza che alimentare l’odio nei confronti di Israele non contribuisce a salvare le vite umane a Gaza. Anzi: produce solo l’effetto opposto.

Lino Lavorgna

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