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“I peggiori giorni”, una commedia all’italiana

Autoprodotti"I peggiori giorni", una commedia all'italiana

Tornano al cinema Edoardo Leo e Massimiliano Bruno lasciando anche stavolta non poche perplessità

Ciò che si rimprovera al cinema italiano contemporaneo è di navigare a vele spianate su quel mare di retorica che spesso viene spacciata e fraintesa per analisi della realtà. Nell’anelito di trasporre in modo spietato la società odierna con le sue fragilità e i suoi tarli, si casca nel clichè più elementare, arrivando ad abbattere persino gli slanci interpretativi più entusiasti.

La sostanza resta la stessa, molti dei personaggi pure. Cosa cambia in questo secondo capitolo? Davvero ben poco, tanto da farci riflettere sul perché si abbia pensato ad un seguito, ad un approfondimento ulteriore, date le tematiche rimaste quasi intatte rispetto al precedente, I migliori Giorni.

Partendo per gradi, anche qui troviamo un poker di storie, quattro per l’esattezza e ognuna di esse ci racconta a suo modo una ricorrenza comandata e non. Il file rouge resta sempre quel senso di vuoto percepito da tutti i protagonisti durante le festività, giornate nelle quali si approfondisce una situazione malinconica, un problema personale.

Feste che finiscono per trasformarsi in giornate tristi e nella peggiore delle ipotesi in veri e propri momenti infernali. E’ quello che accade a tutti i protagonisti del film, che sono costretti ad interfacciarsi con questioni scomode capaci di mettere a dura prova la loro integrità morale, ma soprattutto il loro senso del giudizio.

In un susseguirsi di episodi, in cui sembra imporsi il dramma anziché i toni della commedia amara (come da intenti), Massimiliano Bruno ed Edoardo Leo realizzano un film a cui manca evidentemente un preciso orientamento.

In balia di una bussola impazzita, si tenta di narrare vicende estrapolate dal nostro quotidiano, da ciò che gli italiani hanno vissuto finora, tra collassi economici di grandi imprese passando per episodi di bullismo e ritratti di lotte di classe.

Sebbene, il quadro appaia popolato da temi interessanti, il film non funziona per la sua forte e inficiante ridondanza, che incasella male e in modo approssimativo alcune questioni molto delicate.

La pretesa non è certamente quella di ritrovare in chiave moderna classici intramontabili come I Mostri, ma quanto meno di poter raccordarsi ad un tentativo performativo degno di nota, data la presenza di una rosa di interpreti molto ricca.

Troppi i richiami al cinema d’autore europeo (vedi quello al capolavoro di Polanski, Carnage), pochi i contenuti originali, gran parte dei quali insabbiati da una sceneggiatura che denuncia un’evidente pigrizia (il tutto accostato ad una messa in scena davvero fuori contesto).

Quel che si chiede al cinema italiano, è di tornare a concentrarsi su storie meno furbette, meno acchiappa-cuori, non solo per ritrovare la propria identità, ma anche e soprattutto per non rischiare di collassare in un oceano di pellicole uguali tra loro.

Il rischio è di confonderle tutte, dando origine ad un lungo film in cui si alternano sempre le stesse facce.

Giada Farrace

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