Cinquant’anni fa, finiva il sogno degli anni Sessanta. Le istanze della piazza, le conquiste e gli ideali di una generazione che guardava alla protesta come difesa e costruzione del bene collettivo. Una delle espressioni di questo cambiamento epocale passava per la musica nelle sue forme innovative e sperimentali. Il 10 aprile del 1970 è una data che segna l’inizio di un altro mondo. “Paul is quitting The Beatles” scriveva in prima pagina il Daily Mirror per commentare lo scioglimento dei Fab Four, notizia che avrebbe gettato milioni di fan nello sconforto, con qualche episodio dall’epilogo tragico. I loro brani, frutto di genialità compositiva, sono divenuti inni e colonne sonore arrangiati e interpretati postumi da tanti altri artisti. E poi un ultimo album, “Abbey Road”, a pochi mesi dalla rottura del gruppo, consegna i Beatles alla leggenda.
Ma c’è un’altra data che ha scritto la storia, perché l’8 dicembre 1980 a New York moriva a 40 anni il suo fondatore, John Lennon. Raggiunto da 4 colpi di pistola alle spalle all’ingresso della sua abitazione, il Dakota Building, fu dichiarato morto durante il trasporto al Roosevelt Hospital. “Hey, Mr. Lennon” furono le parole del suo assassino Mark Chapman prima di rivolgergli l’arma contro poche ore dopo avergli chiesto un autografo davanti casa. Il mondo si fermò il 14 dicembre, 6 giorni dopo, quando per 10 minuti ogni stazione radiofonica newyorkese sospese le trasmissioni in onore del musicista britannico e migliaia di persone si riunirono tra Liverpool e Central Park. E mentre le teorie complottistiche sulla sua morte vedevano protagoniste la Cia, agenti speciali e presunti messaggi in codice di Lennon da interpretare, la sua carriera prolifica da solista vantava successi come “John Lennon/Plastic Ono Band”, “Some time in New York City”, “Mind Games” e “Walk and Bridges”.
Lennon è stato molto più di un musicista, ha interpretato il disagio giovanile e lo ha indirizzato all’impegno politico, si è battuto per i diritti umani e contro le speculazioni del potere, gli scempi della guerra, le discriminazioni razziali, le disuguaglianze e la libertà di espressione. Una voce “troppo acuta e nasale” come lui stesso la definiva, espressione di una controcultura Anni 60/70 che, sullo sfondo di una visione bipolare del mondo spaccato dalla Guerra Fredda, lottava contro l’utilitarismo sfrenato, il capitalismo figlio della democrazia occidentale e tutti gli “ismi” frutto di una progetto divisivo. “Imagine”, del 1971, è il suo manifesto politico, la canzone che inneggia a un progetto alto di società e di benessere, sullo sfondo di un conflitto mai combattuto direttamente dalle due grandi potenze in campo(America e Russia) ma che si consumava su altri fronti, come quello vietnamita e cambogiano. “Credeva nella sincerità e che il potere delle persone potesse cambiare il mondo” scrive oggi Yoko Ono, sua compagna fino alla morte, nella prefazione del booklet incluso nella raccolta di canzoni di John “Gimme some Truth”, uscita il 9 ottobre in occasione del suo ottantesimo compleanno. E forse nella realtà odierna in cui nuovi muri, conflitti e sottosviluppo corrono sul filo della globalizzazione, i messaggi contenuti nelle sue canzoni possono essere ancora il faro per la costruzione di quella società che la generazione di Lennon immaginava.
Marita Langella
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