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Mafia e sbarco alleato in Sicilia: basta con le mistificazioni

RaiStoria non è male: nel coacervo dei programmi insulsi trasmessi dalla TV pubblica si distingue per un’offerta che si può senz’altro definire soddisfacente, soprattutto per la ricca disponibilità di materiale documentaristico. Nulla a che vedere, per esempio, con i filmati trasmessi da History Channel, strutturati secondo gli orribili canoni della sub cultura statunitense modello “Selezione dal reader’s digest” (per i giovanissimi: romanzi con molte parti riassunte, in modo da ridurne sensibilmente il numero delle pagine), per di più intrisi di mistificazioni così grossolane da far restare a bocca aperta, quando non proprio inguardabili, come quelli farneticanti, replicati a iosa, che parlano delle possibili “minacce aliene”, forse per distrarre il facilmente abbindolabile pubblico americano da quelle terrestri, reali e molto più pericolose.

Pur conferendo a RaiStoira un voto più alto della sufficienza, tuttavia, qualche crepa, di tanto in tanto, soprattutto nella narrazione della Second Guerra Mondiale, la si rileva. Recentemente ho avuto modo di vedere una puntata di “Passato e Presente”, programma condotto da Paolo Mieli, dedicato al bandito Salvatore Giuliano. Lasciamo stare la vicenda banditesca e soffermiamoci su quanto asserito dallo storico presente in studio, il cui nome non rivelo per non offrirgli immeritata pubblicità, relativamente agli accordi tra mafia e americani in occasione dello sbarco in Sicilia, nel 1943. Alla precisa domanda di Paolo Mieli, lo storico, siciliano, ha risposto testualmente, con la voce quequera tipica di chi faccia fatica a trovare le parole giuste per rendere credibili tesi palesemente menzognere: “Ma nooo…. sono entità qu… sproporzionate… l’influenza che poteva avere la mafia e la gestione di uno dei più grandi… delle più grandi operazioni militari della Seconda Guerra Mondiale… è vero che arrivati in Siciliaaa… gli angloamericani cercarono l’antifascismooo… i mafiosi spesso dicevano noi siamo stati antifascisti, i notabili dicevano siamo stati antifascisti perché… il fasc… o comunque non siamo stati fascisti perché il fascismo in Sicilia non c’è stato e… sopr… l’amministrazione alleata cercava di interloquire con chi c’era… coi partiti antifascisti man mano che si formavano, ma erano debolissimi, e con questi gruppi anche… ad esempio separatisti, che erano in grado di far credere di essere forti, che poi fossero così forti si sarebbe presto visto che non era così. Però furono in grado di farsi prendere sul serio e quello che ne venne fuori è quell’autonomia regionale che allora sembrò una cosa comunque molto innovativa”.

Al di là della sconclusionata esposizione, non certo degna di un cattedratico, e delle inesattezze sulla consistenza del fascismo nell’isola, che ebbe notevole impulso soprattutto grazie a Giovanni Gentile, tra l’altro senza mai raggiungere gli eccessi che si registrarono altrove, il dato importante che emerge è la negazione della commistione tra mafia e forze alleate. Lo storico è in buona compagnia, almeno nell’isola. Sono davvero tanti i negazionisti, anche titolati, che si rifiutano di accettare una semplice verità: gli Alleati cercarono e ottennero l’aiuto della mafia per sbarcare in Sicilia e la ripagarono lautamente con prebende e importanti incarichi, proprio come accaduto nel 1860, con l’arrivo di Garibaldi.  Un docente universitario catanese si è preso addirittura la briga di scrivere un lungo articolo per criticare Pierfrancesco Diliberto, meglio noto come Pif, regista del bellissimo film “In guerra per amore”, nel quale, sia pure corroborato da una trama immaginifica, il rapporto mafia-Alleati viene magistralmente descritto, mettendone in luce le caratterizzazioni peculiari. Non contento, gli ha anche replicato su YouTube con un video nel quale, arrampicandosi sugli specchi, reitera le argomentazioni negazioniste.

Cerchiamo di mettere un punto fermo su una querelle che non ha ragione di esistere, con buona pace di chi intenda spacciare lucciole per lanterne, quali che ne siano le ragioni. La pubblicistica seria sulla campagna d’Italia è davvero sterminata e le vicende sono narrate nel loro effettivo svolgimento quasi “minuto per minuto”, sempre supportate da una ricca documentazione relativa agli aspetti politico-diplomatici. In buona sostanza, vi è ben poco da scoprire. Voglio proporre questa tematica, pertanto, rendendo omaggio proprio al bravo regista siciliano, riportando alcune battute iniziali del film, che avrebbe meritato più successo di quello ottenuto. Pif ha narrato fatti drammatici con delicato stile e raffinata ironia, senza tralasciare la citazione dei personaggi “reali” che, di quei fatti, in qualche modo, furono co-protagonisti.

Voce fuori campo: “Tutto era incominciato nel gennaio 1943. L’Europa era da tempo dominata dai nazisti e Hitler aveva come fedele alleato l’Italia fascista di Benito Mussolini”.

Ci spostiamo nella sala ovale della Casa Bianca e si vede Franklin Delano Roosevelt  che vi entra. La voce fuori campo continua: “Gli Stati Uniti, assieme agli Alleati, decisero di aprire finalmente un fronte in Europa per liberarla dalla dittatura”.

Il presidente Roosevelt prende la parola al cospetto dello staff: “E per fare questo, dobbiamo passare di qua: Sicilia, a sud dell’Italia. È qui che sarà deciso il futuro del mondo ed è nostro compito portare al mondo la prosperità, la democrazia e la libertà”.
Cambio di scena: siamo nel carcere di Dannemora, un piccolo centro nello Stato di New York, a poche miglia dal confine col Canada. La voce fuori campo continua: “Nonostante l’ottimismo del presidente Roosevelt, gli americani ne sapevano poco della Sicilia. Per preparare un piano militare a regola d’arte chiesero aiuto a una loro vecchia conoscenza”.

La scena si sposta all’interno di una cella. Un detenuto parla con un militare.

“Penso di aver capito la questione, maggiore, ma andiamo al sodo: cosa volete da Lucky Luciano?”. (L’uomo che parla è proprio il quarantaseienne mafioso siciliano, da oltre dieci anni principale boss della criminalità organizzata negli USA, anche se rifiutò di proclamarsi “capo dei capi” per evitare una guerra con Al Capone, anch’egli in forte ascesa. È in prigione dal 1936, ma continua serenamente a gestire gli affari criminali dal carcere).

“Sappiamo che fuori di qua ha molti amici che tengono a lei. Il governo degli Stati Uniti vuole che lei convinca i suoi compatrioti che vivono in America ad aiutarci. Informazioni, foto, mappe. Qualsiasi cosa ci possa essere utile in Sicilia. Basterebbe una sua parola per farli collaborare”.

“E per quale motivo dovrei dire questa parola?”.

“Lei ha ancora molto tempo. Quanto? Circa cinquanta anni, se non sbaglio. Forse… potremmo trovarle una specie di hobby. (Sorrisino sardonico). Gli amici servono anche a questo, no?”. Lucky Luciano annuisce.

Non ci è dato sapere se il colloquio si sia svolto proprio in quei termini: le trattative Stato-mafia non vengono certo filmate o registrate, ma il succo non può essere molto diverso, come i fatti successivi avrebbero ampiamente dimostrato.

Per comprendere bene ciò che accadde, però, bisogna fare un salto all’indietro.

La mafia costituì il principale ostacolo alla “fascistizzazione” della Sicilia in virtù di un controllo del territorio che, evidentemente, non intendeva condividere con nessuno e men che mai con lo Stato. Nel 1924 Mussolini decise di bonificare l’isola e inviò il prefetto Cesare Mori, che si era già distinto, dal 1903 al 1914, per fermezza di carattere e determinazione nel combattere la criminalità organizzata nell’area trapanese; in Sicilia ritornò anche nel 1916 per reprimere il brigantaggio.

Mori non deluse le aspettative e colpì duramente le cosche mafiose, inducendo molti criminali, sfuggiti alla cattura, a scappare negli USA, dove costruirono una fitta rete criminale e importanti imperi economici. Riuscì anche a svolgere una efficace opera formatrice nei confronti dell’opinione pubblica, facendo sentire la presenza dello Stato sul territorio. Dopo il primo momento di sbandamento, però, le forze occulte in combutta con la mafia si organizzarono per frenare la sua azione demolitrice: i grandi latifondisti, che utilizzavano la manovalanza mafiosa per il controllo dei vasti possedimenti agricoli, furono i più determinati nel combattere l’azione di bonifica sociale, riprendendo fiato e piena operatività già a partire dal 1929, anno in cui il prefetto andò in pensione. Lo scoppio della guerra creò condizioni ottimali per i mafiosi che, da sempre, ambivano a staccare la Sicilia dal resto d’Italia.

Nel 1942 nacque il Movimento per l’Indipendenza della Sicilia, che inglobò esponenti politici eterogenei e fu guidato da un triumvirato composto dal conte massone Lucio Tasca, dal liberale massone Andrea Finocchiaro-Aprile e dal mafioso don Calogero Vizzini. Lo sbarco alleato del ΄43 costituì una insperata e ghiotta occasione per occupare spazi ancora più consistenti nel territorio, grazie alla facilità con la quale i mafiosi indussero la popolazione, già di per sé ben predisposta, ad accogliere calorosamente le truppe anglo-americane. I legami con i potenti “compari” negli USA erano ben solidi e ciò era noto alle autorità statunitensi che, già nel 1939, per quanto formalmente neutrali, avevano iniziato un massiccio rifornimento di armi e beni di conforto ai nemici dell’Asse, in particolare agli inglesi. Il porto di New York diventò un nodo cruciale per la partenza delle navi dirette in Europa e il Governo temeva fortemente le azioni di sabotaggio favorite dalle spie italiane e tedesche. Uno dei massimi responsabili dell’intelligence, pertanto, il maggiore Radcliffe Haffenden, pensò di rivolgersi proprio a Lucky Luciano per chiedere il concreto aiuto della mafia.  Il boss non si fece pregare e ordinò ai suoi uomini di sostenere pienamente l’attività “solidaristica” degli USA nei confronti dell’Europa caduta sotto il giogo nazista: in men che non si dica l’intera rete spionistica italo-tedesca fu messa a tacere e tacitati furono anche i sindacati affinché non creassero problemi durante le operazioni di carico del materiale bellico. Massimo Lucioli, nel saggio “Mafia & Allies” (edizioni Scripta Manent, 2005), tratta compiutamente questa fase prodromica dei successivi avvenimenti, per i quali fa testo la dichiarazione di Moses Poliakoff, l’avvocato di Lucky Luciano, che ammise tranquillamente di essere stato contattato, nel 1942, dal Procuratore distrettuale della contea di New York, su delega dei servizi segreti, per indurlo a fungere da intermediario nei rapporti con il suo cliente.

Lucky Luciano segnalò agli americani i nominativi dei mafiosi residenti in Sicilia sui quali si poteva contare ciecamente per l’operazione Husky. L’Office of Strategic Services selezionò militari con radici siciliane e creò una rete di contatti con tutti gli antifascisti residenti nell’isola, a cominciare dai potenti membri del Movimento per l’Indipendenza della Sicilia. Il principale interlocutore di Lucky Luciano fu Calogero Vizzini, che mise a disposizione degli americani sia i latifondisti affiliati al MIS sia i mafiosi. L’ufficiale di collegamento fra Vizzini e Luciano fu un altro famoso mafioso, Vito Genovese, successivamente scelto come interprete e prezioso “aiutante” dal colonnello Charles Poletti, capo degli affari civili del Governo militare alleato di stanza nella Napoli liberata dai nazisti.  Genovese fece affari d’oro con il mercato nero dei generi alimentari, grazie anche al benevolo appoggio delle autorità militari, da lui facilmente corrotte1.

I mafiosi ottennero facilmente la collaborazione dei soldati siciliani impegnati nella regione, inducendoli alla diserzione e al sabotaggio per evitare spiacevoli conseguenze sia per loro sia per i familiari.

Nel film di Pif è riportato molto bene l’aspetto saliente della collaborazione mafiosa, ossia il conferimento di importanti incarichi che sarebbero stati opportunamente sfruttati per gettare le basi di quel solido potere criminale che perdura tutt’oggi.

Per la cronaca e per tacitare una volta per tutte gli arrampicatori di specchi:

  1. Lucky Luciano sarebbe dovuto restare in carcere fino al 1986, ossia fino alla veneranda età di 89 anni. Il 3 gennaio 1946, invece, il governatore dello Stato di New York gli concesse la grazia per gli alti servigi resi alla “Marina statunitense”, formula diplomatica con la quale si riconosceva l’importante ruolo di supporto svolto sia nel 1939 sia nel 1943. Il mafioso rientrò in Italia e si stabilì presso lo storico albergo palermitano “Grand Hotel e des Palmes”, dove soggiornò con aura di statista, ricevendo i membri del separatismo siciliano e i mafiosi che quotidianamente si recavano a tributargli deferenza. Nel giugno dello stesso anno si recò in Brasile, Colombia, Venezuela e Cuba, dopo avere ottenuto i documenti necessari per l’espatrio dal sindaco mafioso di Villabate, Francesco D’Agati2. A Cuba incontrò il mafioso bielorusso-statunitense Meyer Lansky, di cui diventò socio nella gestione dell’Hotel Nacional e di un casinò a L’Avana, insieme con il losco presidente Fulgencio Batista, “fantoccio” degli USA. Rientrato in Italia, si dedicò al proficuo traffico degli stupefacenti, uscendo sempre indenne dalle varie denunce. Nel 1947 s’innamorò della bella ballerina Igea Lissoni, che aveva 23 anni meno di lui. Dopo i numerosi spostamenti effettuati per motivi di sicurezza, si stabilì con lei nell’elegante via Tasso, a Napoli, dove passò a miglior vita nel 1962. Nelle immagini della “Settimana Incom” del febbraio 1962, facilmente reperibili in rete, è possibile vedere lo sfarzoso carro funebre trainato da otto cavalli e l’immensa folla che accompagnò il feretro presso la chiesa della Trinità a Napoli. La salma fu poi traslata negli USA e seppellita nel Saint John’s Cemetery di New York, dove riposano i principali esponenti della mafia italo-americana.
  2. Nel settembre 1945 numerosi mafiosi, fra cui Calogero Vizzini, Giuseppe Genco Russo, Michele Navarra (il mandante dell’assassinio di Placido Rizzotto e omicida diretto del povero pastorello Francesco Letizia), Francesco Paolo Bontate, Gaetano Filippone, Pippo Calò (quattordicenne!), Tommaso Buscetta (diciassettenne!) confluirono nel MIS nel corso di una riunione a casa del barone latifondista Lucio Tasca e decisero di utilizzare le bande delinquenziali per rinsanguare il loro braccio armato: l’esercito volontario per l’indipendenza della Sicilia. Il gruppo mafioso nel 1946 abbandonò il MIS e iniziò il “lungo” sostegno alla Democrazia Cristiana.

Quello che è accaduto dopo, è storia ancora “calda”. E dolorosa.

            NOTE

  • “Quanto ai napoletani, portarono il mercato nero a un tale grado di efficienza che l’equivalente del carico di una nave su tre che arrivavano nel porto finiva nel contrabbando, inclusa a volte, come si diceva, la stessa carcassa della nave. Impresa così notevole non poteva realizzarsi senza collusioni nelle alte sfere, che infatti ci furono. Appena nominato governatore militare di Napoli, il colonnello Charles Poletti, già vicegovernatore dello Stato di New York e negli ultimi tempi in affari con la mafia siciliana, scelse come aiutante e interprete Vito Genovese, numero due dopo Lucky Luciano di Cosa Nostra a New York. Membro dell’antica camorra napoletana (era nato a Tufino, in provincia di Avellino, il 21 novembre 1897, N.d.R.) Genovese era sfuggito a un’accusa di omicidio negli Stati Uniti scappando poco prima della guerra in Italia, dove era divenuto il fornitore regolare di cocaina di Galeazzo Ciano, il genero di Mussolini. Grazie all’insediamento di Poletti a Napoli, gli italoamericani regnarono sovrani, “serrando le proprie fila – secondo il Field Security Officer inglese – se minacciati dall’esterno”. In una città semidistrutta dai bombardamenti alleati, dove trovare una casa rappresentava un’impresa impossibile, il mercato nero significava la sopravvivenza. Il pane era passato da 2 a 100 lire al chilo; l’olio a 450 lire al litro, le uova a 30 lire l’una; prezzi cento volte superiori a quelli di prima della guerra. Il sale e il sapone erano impossibili da trovare”.

(Peter Tompkins, “L’altra resistenza. Servizi segreti, partigiani e guerra di liberazione nel racconto di un protagonista”; Il Saggiatore, 2009. L’autore, 1919-2007, è stato un agente segreto statunitense con un importante ruolo durante l’occupazione nazista dell’Italia).

  • “Il dominio di Lucky Luciano – Documenti della Commissione parlamentare antimafia – VI legislatura”. 

Lino Lavorgna

 

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