Se si dovesse stilare un elenco di tutti i casi di rapimento avvenuti in Italia tra gli anni settanta e ottanta finiremmo per riempire pagine e pagine intere. Tra i tanti sequestri, alcuni dei quali per mano del terrorismo, altri mossi da pedine politiche per salati riscatti in denaro, ne esiste uno che tuttora riesce a smuovere gli animi del popolo italiano.
Forse per quel contorno ancora velato di mistero, il caso della scomparsa di Emanuela Orlandi attira ancora attenzione, suscitando curiosità e voglia di rintracciare qualche indizio in più per comprenderne le dinamiche più intrinseche. Il regista americano Mark Lewis, autore pluripremiato per la sua impegnata attività di documentarista sul mondo animale, ha da sempre trattato del caso Orlandi scrivendo articoli e saggi, pubblicati da alcune delle più influenti testate giornalistiche internazionali.
La profonda preparazione sul fatto di cronaca, gli ha permesso di possedere gli strumenti necessari per poter realizzare una docuserie accurata e potente, in grado di avvicinare anche quella fetta di spettatori che non ha vissuto o letto niente sull’argomento. Vatican Girl è un titolo molto coraggioso, scelto appositamente per il significato che racchiude: l’appartenenza di Emanuela al Vaticano.
E questo aspetto relativo al luogo in cui viveva la giovane, uno stato all’interno di un altro stato, una realtà con dinamiche differenti, quasi isolata dal resto del mondo, è la vera chiave per comprendere quella che è la linea guida di questa composita indagine. Lewis ha la preparazione per intercalare in modo equilibrato il racconto all’inchiesta, dando la parola a chi ha vissuto in prima persona questo doloroso evento, cioè i fratelli di Emanuela.
Perché alla fine, ciò che funziona davvero di questi documentari targati Netflix, è il coraggio di metterci di fronte a delle testimonianze reali, a delle “facce”. Persone che hanno sofferto e si mettono a nudo riportando alla luce eventi passati che hanno segnato le loro esistenze, cambiandole in maniera radicale.
Attraverso i loro sguardi si rivive quel ricordo, riaffiorano dettagli che si inseriscono come tasselli nell’intricato puzzle del caso. E così grazie al fitto tessuto di ricordi riportati alla luce dal fratello e dalla sorella maggiore della Orlandi, si comprende da vicino che tante sono state le ipotesi, altrettante le piste errate sviluppatesi attorno ad un caso affrontato all’epoca quasi come un romanzo di Dan Brown.
Ma la verità ogni volta sfuggiva di mano, come la speranza di poter rintracciare la giovane Emanuela. Nel frattempo sono passati quarant’anni, le incongruenze sono sempre più fitte e nessuno è mai stato in grado di comprendere a fondo cosa sia accaduto il 22 giugno del 1983 a Roma.
Giada Farrace
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