Uscito al cinema lo scorso 17 marzo, Corro da te di Riccardo Milani è un film che ha riscosso successo sia nelle sale cinematografiche sia nelle case degli italiani. Infatti, all’interno della top five dei film più visti del mese di luglio spicca proprio questo titolo, subito seguito da La cena perfetta con Salvatore Esposito e Greta Scarano, e dall’action movie Blacklight con protagonista lo stoico Liam Neeson.
Il successo di Corro da te su Sky si può ricondurre ad alcuni fattori ben specifici di questo momento storico. Il primo tra tutti è legato alla scarsissima frequentazione delle sale cinematografiche in questo periodo dell’anno, conseguenza diretta del limitato ventaglio di uscite. Il secondo fattore è più epidermico e forse ancora più influente del primo e va a collegarsi ad una propensione da parte dello spettatore nella ricerca di contenuti leggeri e per così dire “idillici”.
Corro da te è un buon compromesso tra commedia e dramma, in cui si alternano di continuo momenti cinici e sarcastici a sezioni in cui regna un registro più profondo e sensibile. Funziona perché scorre bene, senza la pretesa di essere seguito pedissequamente con un alto grado di concentrazione (una breve parentesi di cellulare non fa di certo perdere momenti di complessa decifrazione).
La storia poi ricalca il classico stilema della commedia romantica, in cui si gioca a sedurre e si finisce per perdere la testa con la nascita di un amore. In questo caso, il protagonista Gianni, interpretato da Pierfrancesco Favino, è un seduttore incallito e spietato, un casanova capace di vincere anche le sfide più ardue. Tutto questo fino a quando la sua strada non incrocia quella di Chiara, interpretata da Miriam Leone, una ragazza sulla sedia a rotelle, che entrerà prepotentemente nella vita di Gianni, cambiando improvvisamente tutte le carte in tavola.
Il film è ambientato a Roma, permettendo una facilissima immersione sentimentale nella storia per gli scenari di alcune sequenze che rapiscono tutti coloro che vivono e amano la città eterna, per antonomasia set a cielo aperto. Detto ciò, se la prima parte della storia frizza e diverte perché retta da un sempre camaleontico Favino, la seconda parte si indebolisce diventando così melensa e paradossale (basti pensare a quell’evitabilissima scena a casa di lui dove si immergono come per magia in una piscina sotto al parquet).
Dal momento che queste scene sono fondate su un’estrema quanto maniacale cura del dettaglio scenografico, ci si chiede per quale motivo spesso in Italia, di fronte a film del genere, si scelga di sacrificare sempre la sceneggiatura per dare invece spazio a questi espedienti visivi un po’ fuori contesto. In fin dei conti, la credibilità dovrebbe essere la principale preoccupazione di un racconto di finzione, il tutto aiutato da un assetto scenografico che faccia da buon contorno.
Giada Farrace
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