E’ il thriller che fece innamorare Ben Affleck e Ana de Armas
Nel lontano 2002 Adrien Lyne dirigeva L’Amore Infedele, un thriller sviluppato sul concetto di infedeltà quale ossessione capace di portare a gesti irrazionali dettati dalla volontà di tenere vivo un rapporto malato, razionalmente insostenibile.
A vent’anni di distanza da questo film, Lyne torna a dirigere una storia a tratti molto simile a L’amore infedele, sia per il tema affrontato sia per alcune dinamiche interne in cui si riaffacciano delle situazioni già incontrate.
Ma la differenza qualitativa tra i due film è abissale, proprio perché quello di oggi è un prodotto assai limitato. Tratto dall’omonimo romanzo di Patricia Highsmith, Acque profonde tratta della complicata e morbosa relazione tra i Vic e Melinda, sposati e con una bambina ancora in tenera età, i quali vivono il loro matrimonio tra continue tensioni dovute al comportamento piuttosto libertino di Melinda.
La donna infatti porta avanti delle relazioni extraconiugali con altri uomini, mostrando questa strana perversione al marito, che dal canto suo non riesce a fronteggiare il problema come vorrebbe, lasciando correre.
La tossicità del loro matrimonio causa dei confronti asprissimi tra i due, che però nella maggior parte dei casi terminano con il ripristino della situazione iniziale. Il gioco si ripete ogni volta che Melinda si invaghisce di un uomo, fino a quando Vic elaborerà una soluzione per allontanare una ad una tutte le conquiste della moglie.
Inutile dire che la coppia Affleck De Armas vive di fascino proprio, rendendo molti momenti tra cui anche i più intimi piuttosto reali e intensi (i due si sono infatti innamorati durante le riprese del film), ma nonostante questa ipnotica coppia, Acque Profonde è un film che si perde e, facendo una banale allusione al titolo, annega pesantemente, vittima delle sue numerose fragilità. Una su tutte, è la storia che purtroppo non si evolve in questi 115 minuti di film, restando sempre paralizzata su certe situazioni totalmente sterili ai fini della sceneggiatura.
La costante monotonia fa da leit motiv anche nei dialoghi tra i personaggi, troppo vaghi per un film su di un tema così scottante e sempre evasivi quando invece occorre incrementare la tensione.
Ciò che trapela di fatto è un perpetuo alone di vuoto, paragonabile quasi ad un senso di noia che finisce con il contaminare anche il finale, del tutto privo di significato. Un film che si vede soltanto per la grazia seducente di Ana De Armas e per poco altro.
Giada Farrace
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