Da sempre è una dei principali passaggi obbligati di gas naturale russo, posizione strategica che l’ammiraglio americano Mahan, nella teoria del potere geopolitico chiamava dei “choke points”, i punti di strozzatura facili da controllare ma anche da bloccare. L’Ucraina è con Bielorussia e Repubbliche Baltiche (quest’ultime membri dell’Unione Europea), per questa condizione di transito forzato, al centro di interessi da Ovest ed Est, contesa tra potenze continentali e marittime, tra vocazioni atlantiste e filo russe, un cuscinetto eurasiatico in una posizione di protezione generale per scongiurare blocchi alle forniture energetiche di tutta Europa. Il Paese al centro della crisi del gas del 2006, vive da sempre dicotomie interne tipiche degli Stati “cuspide”, quelli cioè che per collocazione geografica a cavallo di due macro ragioni, tendono a esprimere un comportamento ambivalente. l’Ucraina è divisa al suo interno tra spinte europeiste e zone orientali russofone (come il Donbass) e separatiste, culla di conflitti dovuti a instability factors scatenanti.
Nelle settimane in cui il Cremlino è pronto al confine ucraino a un ipotetico scontro con Kiev e la NATO, notizie discordanti di attacchi imminenti poi ritrattate, contrattazioni febbrili che poi si traducono in un nulla di fatto e uno stato d’emergenza invocato da più fronti, sono la cifra di una escalation fatta di diplomazia ambigua e mosse rischiose se male interpretate. Intanto ieri la Cnn citando alcune fonti, fa sapere che Kiev chiede a Berlino elmetti e giubbotti anti proiettile, mentre l’Ambasciata degli Stati Uniti a Kiev invoca presso il Dipartimento di Stato, la partenza di tutto il personale non essenziale e delle loro famiglie. Scenari che lasciano presagire un conflitto armato imminente, anche se in un colloquio con il segretario di Stato americano Antony Blinken, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky avrebbe definito “eccessiva” la reazione americana. Eppure la stessa Germania che finora si è opposta a fornire armi a Kiev, in presenza di 100mila soldati russi ammassati al confine, starebbe lavorando a un piano di evacuazione dell’ambasciata tedesca a Kiev. Tra allarmismi e tesi complottistiche che si susseguono come quella del Ministero Degli Esteri britannico secondo cui la Russia vorrebbe occupare l’Ucraina per rovesciare il governo e posizionare “un suo uomo” .
Al momento i tanti condizionali si aggiungono alle notizie frammentarie su quello che più che uno scontro potrebbe diventare un rompicapo incomprensibile o anche rimanere un dispiegamento inattivo al gelido confine ucraino. Ma più che interpretare la storia con i se e con i ma, si può invece tentare di scavare tra le sue maglie intricate. L’invio di truppe al confine ucraino era già iniziata ad aprile 2021 ed è continuata sistematicamente fino a novembre, al centro vi era la questione dell’ingresso dell’Ucraina e della Georgia nella NATO, che Mosca con l’invio di un ultimatum scritto agli USA , ha chiesto di scongiurare.
A questo va aggiunto poi che negli ultimi mesi il governo di Zelensky ha limitato attraverso alcuni provvedimenti, l’utilizzo della lingua e dei media russi, un segnale di rottura del protocollo di Minsk, unico negoziato da Francia e Germania, sullo status del Donbass e della unità di Donetsk e Lugansk.
I timori di Mosca sono a questo punto che Kiev grazie anche a un potenziamento del suo arsenale militare, possa volersi “riappropriare” dei territori in mano ai separatisti, un chiaro segnale di avvicinamento alla NATO. Una tendenza per giunta da sempre manifestata da tutti i Paesi dell’Europa orientale, membri e non dell’Unione Europea, quella di sentirsi più appartenenti all’Alleanza Atlantica, come per l’ex blocco di Stati del Patto di Varsavia, che ancora oggi dopo un processo complesso di ammodernamento e riforme indispensabili per entrare nell’Unione, sentono ancora che la NATO sia l’unico strumento di protezione dal rischio di un’invasione russa.
Un miglioramento dei rapporti tra le due potenze si era poi auspicato con l’arrivo di Biden alla presidenza e con l’avvio di colloqui bilaterali che nel corso del 2011 si sono concentrati sulla non proliferazione in Europa, tagliando paradossalmente fuori l’intermediario europeo dai tavoli delle trattative. In quell’occasione, incluso il summit tra Biden e Putin a Ginevra del giugno 2021, l’ammassamento di truppe era stato interpretato come una richiesta di accelerare un confronto diretto tra i due capi di Stato che escludesse i partner europei.
Rimane difficile capire con certezza le reali intenzioni del Cremlino, soprattutto il perché del posizionamento dell’ esercito russo al confine pronto a colpire e non è chiaro quale territorio nello specifico, a differenza della penisola di Crimea del 2014. Con un costo enorme sia per gli equilibri internazionali che per gli interessi economici della Russia (primo fornitore di gas europeo). Più probabile invece un tentativo di voler imporre una sua agenda e un’influenza regionale negoziando direttamente con gli States il destino dell’Ucraina. Un risiko moderno insomma in cui l’unica mossa intelligente però a questo punto forse è non giocare.
Marita Langella
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