AFGHANISTAN – Il giorno 15 agosto 2021 Kabul, città orientale capitale dell’Afghanistan, veniva conquistata dai Talebani. La resa delle forze internazionali ed il frettoloso abbandono degli abitanti occidentali fu l’inizio di un nuovo assetto socio-politico. Il governo talebano nel Paese era stato ripristinato.
Nei giorni scorsi una pletora di articoli, video e testimonianze su media di diverso genere e grado ha ricordato l’evento in occasione dell’anniversario dalla caduta della capitale. Un passaggio obbligato che ha destato molto clamore tra i lettori. Tuttavia, l’impressione è che si tratti di commemorazioni superficiali e tendenti ad eludere i gravi e grandi interrogativi cui sarebbe necessario individuare un responso sulle sorti del Paese centroasiatico. Il rumore caotico delle notizie pubblicate dalle innumerevoli testate giornalistiche stride fortemente con il silenzio tumultuoso dei mesi antecedenti.
L’Afghanistan, a distanza di un anno, appare tornato alle vecchie abitudini con un regime pari a quello che ha segnato gli anni precedenti il ventennio di occupazione occidentale: il limbo politico e informativo lo avvolge e costringe in una morsa soffocante. Mentre la diplomazia sembra incapace o forse poco interessata ad una ripresa dei dialoghi con Kabul, l’attenzione mediatica internazionale registra un netto calo. Il disinteresse non è adottato solo dai paesi europei, ma anche a quei governi euro-asiatici (Russia, Cina, Iran, Pakistan) mostratisi più aperti alle trattative.
Il motivo principale è da rinvenire certamente nel costante legame dei talebani con varie organizzazioni jihadiste regionali e globali, ben esemplificato dall’uccisione a Kabul di Ayman al-Zawahiri lo scorso 31 luglio; dalla presenza sul territorio dell’East Turkestan Islamic Movement (ETIM), gruppo fondamentalista uiguro nemico della Cina; e dal sostegno degli studenti ai loro “fratelli d’oltreconfine” di Tehreek-e-Taliban Pakistan (TTP), dato che sta gradualmente guastando i rapporti con il Governo di Islamabad. Da qui la sostanziale ambiguità di Pechino, Mosca e delle altre capitali eurasiatiche nei confronti del regime talebano, con continue promesse di aiuti ed investimenti cui però seguono ben poche azioni.
Per quanto concerne l’Occidente il discorso non è del tutto dissimile, seppur accompagnato da sentimenti estremo disagio. Gli Stati Uniti d’America ed i Paesi europei sembrano voler dimenticare il “problema Afghanistan”, quasi che questo equivalesse a cancellare l’imbarazzo ed il senso di colpa per un’azione ventennale evidentemente inefficiente. Non sanno come affrontare la nuova realtà insediatasi e sperano unicamente che le dure sanzioni economico-finanziarie imposte al Paese finiscano per indebolire i talebani o per spingerli verso un islamismo più moderato. Speranze finora disattese, con il regime sempre più oppressivo che ha imposto nuovamente alle donne l’utilizzo del burqa.
Mentre il mondo tace, a Kabul suonano le bombe ed i kalashnikov. Eppure, nessuno li sente. O così pare. In tale contesto le commemorazioni accorate di questi giorni appaiono vuote, superficiali nonché surreali. Tale “febbre da anniversario” non è altro che uno sguardo sfuggente e semi-interessato in un fiume di notizie
Giorgia Cremona
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