I dati sono allarmanti sotto tutti i punti di vista. Il vuoto esistenziale e culturale che caratterizza, e non da poco tempo, le fasce adolescenziali e giovanili costituisce un problema sociale che non può essere né sottaciuto né preso sottogamba. Il consumo di sigarette, droga e alcool ha oramai raggiunto tra i giovanissimi livelli da capogiro, secondo quanto emerge dai periodici rapporti dell’OMS, della Federazione servizi dipendenze (FederSerD), della Federazione italiana comunità terapeutiche (Fict) e del Coordinamento nazionale dei coordinamenti regionali che operano nel campo dei trattamenti delle dipendenze (InterCear).
Se l’abuso di sostanze nocive mina il corpo, la mancanza di stimoli culturali validi, la crescente lontananza dai valori più nobili e sacri che dovrebbero costituire il patrimonio comune di una società che intenda definirsi civile, la crisi della scuola e della famiglia fanno il resto, lasciando crescere un esercito di zombi che, divenuti adulti, non potranno che manifestare la loro assoluta inadeguatezza alla vita, con quali conseguenze è facilmente immaginabile, anche in considerazione degli eloquenti segnali che non possono sfuggire a nessuno perché quotidianamente alla ribalta della cronaca, a cominciare dai minorenni ai quali è concessa una irregolare e pericolosa condotta di vita notturna, per finire con gli stupri di gruppo dopo serate passate a ubriacarsi e a drogarsi, genitori malmenati e uccisi per procurarsi i soldi necessari all’acquisto di droga e tante altre nefandezze che fanno accapponare la pelle, soprattutto quando mettono in risalto l’assoluto disprezzo della vita umana, ben emerso in modo ancora più consistente durante questi terribili mesi segnati dalla pandemia.
Un formidabile aiuto a questa disgregazione sociale, purtroppo, è offerto anche da quegli adulti che, in ossequio a una distorta e confusa visione del mondo e a un errato concetto della libertà individuale, quando non a concrete logiche perverse coscientemente perseguite, eccedono in permessivismo e addirittura si dichiarano favorevoli alla liberalizzazione delle droghe.
Come intervenire opportunamente per sottrarre i giovani ai condizionamenti nefasti di una società allo sfascio, contaminata anche in quegli elementi che per loro costituiscono un’attrazione primaria, come la musica, per esempio, è la battaglia epocale combattuta da coloro che della società costituiscono la parte «sana», anche se con scarsi risultati perché i buoni propositi, inevitabilmente, si scontrano con un potere politico refrattario a interventi drastici, essendo precipuamente intento a coltivare i rispettivi orticelli di potere.
Nondimeno bisogna insistere nel denunciare il problema e proporre soluzioni valide, lottando affinché prima o poi si creino le giuste condizioni per la loro pratica attuazione. Se così non dovesse essere ci dovremmo preparare a un futuro ancora più buio del presente.
Un valido aiuto ai giovani di entrambi i sessi può essere offerto senz’altro dal ripristino del servizio militare obbligatorio, soppresso dal 2005. Dodici mesi da trascorrere nelle caserme, insieme con i militari professionisti, condividendone, se non proprio tutte le mansioni, le regole.
I vantaggi sarebbero molteplici e avrebbero l’effetto di una cura disintossicante. Dodici mesi senza alcuna possibilità di consumare droga e alcool, grazie anche ai controlli sistematici da effettuare a campione e soprattutto al rientro delle licenze; uso limitato dello smartphone, oramai divenuto una vera droga, con divieto di utilizzo durante l’attività didattica, esercitazioni, ore notturne, secondo quanto già previsto dalle vigenti norme, che per l’occasione sarebbe il caso di rendere ancora più restrittive.
L’educazione all’ordine, alla disciplina, al rigore, al rispetto del prossimo, al gioco di squadra, al rispetto delle gerarchie, a dover contare solo su sé stessi in determinate circostanze e ad affidarsi con fiducia ad altri in determinati contesti, non possono che giovare ai giovani. Sarebbe un periodo di notevole crescita individuale e collettiva, che consentirebbe di recidere significativamente il cordone ombelicale con famiglie iperprotettive e non sempre (per non dire quasi mai) in grado di fornire un’adeguata educazione alla vita.
Un periodo durante il quale l’intelligenza di ciascuno sarebbe continuamente stimolata, orientandola verso sentieri dell’essere realmente degni di essere percorsi. Di fondamentale importanza risulterebbe il distacco dal mondo «virtuale», pieno di insidie, e una maggiore esortazione a coltivare i rapporti diretti, per confrontarsi e magari anche scontrarsi, ma civilmente e a viso aperto, per mettere alla prova sé stessi in un contesto reale e non artefatto grazie alle possibilità offerte da una tastiera del PC.
La presenza dei giovani nelle caserme, inoltre, consentirebbe di distogliere delle risorse professionistiche da alcune incombenze di secondaria importanza, a tutto vantaggio di una migliore efficacia operativa di quelle primarie, magari anche nelle missioni all’estero, che offrirebbero quindi a tanti giovani esperienze formative e conoscitive ancora più pregnanti.
Bisogna restare con i piedi per terra, tuttavia, e sarebbe sciocco concludere che un anno di servizio militare potrebbe rappresentare la panacea per un fenomeno negativo di così vasta portata, soprattutto se dovesse configurarsi come una mera parentesi da sopportare con noia e fastidio. Da qui la necessità di ben arare il terreno, sia in fase propedeutica sia al termine del servizio.
Nelle scuole, almeno una volta per ogni ciclo scolastico, a partire dalla quinta elementare, andrebbe organizzata una giornata speciale, tipo «La scuola incontra le Forze Armate» o qualcosa del genere, consentendo agli alunni di visitare una caserma, di ascoltare una lezione da parte di un ufficiale e di interagire ponendo domande sui vari aspetti della vita militare. In nove anni, dalla scuola elementare al diploma, si avrebbe la possibilità di partecipare a eventi che, se sapientemente organizzati, qualche effetto positivo dovrebbero senz’altro produrre.
Al termine del servizio di leva obbligatorio, poi, i giovani dovrebbero essere tutti esortarti a iscriversi nelle associazioni d’arma, prendendo parte attiva all’attività associativa, che dovrebbe essere rimodulata rendendola più funzionale alle esigenze di una società in continua evoluzione e più attrattiva soprattutto per i giovani. In buona sostanza si tratta di proiettare nella vita civile tutti quegli elementi positivi che costituiscono l’ossatura di un sistema militare, avendo cura di effettuare l’operazione con l’intelligenza necessaria a smontare sul nascere le sicure alzate di scudi da parte dei cretini in servizio permanente effettivo, allergici per partito preso alla divisa.
Se davvero un progetto del genere dovesse concretizzarsi, sarebbe bellissimo scoprire che proprio dei giovani, dopo il servizio di leva obbligatorio, manifestando chiaramente un cambio di rotta nel proprio stile di vita, s’impegnassero attivamente per correggere le distonie maturate in decenni di sfascio sociale e favorissero quel «rinascimento etico, morale e culturale» che oggi appare come una chimera.
Lino Lavorgna
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