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Samhain e quella terra magica chiamata Irlanda

Incipit
“In Irlanda, il mondo dei morti non è tanto distante da quello dei vivi. Essi sono a volte così prossimi che le cose del mondo paiono soltanto ombre dell’aldilà”. (William B. Yeats)

Hanno avuto vasta eco le infuocate parole pronunciate dal presidente De Luca, il 19 ottobre scorso, su quel rito insulso che induce tanti giovani, nella notte del 31 ottobre, ad affollare i locali sfrenandosi più del solito nel loro sport preferito, ossia ubriacarsi e impasticcarsi: “Halloween è questa immensa idiozia, questa immensa stupida americanata che abbiamo importato nel nostro Paese. Halloween è un monumento all’imbecillità”.

Ha ragione da vendere, il presidente De Luca, per motivi che, tra l’altro, trascendono la pur significativa valenza del suo messaggio, ancorata ai rischi degli assembramenti, presi sottogamba da troppe persone, nonostante i numeri drammatici quotidianamente sciorinati dai media. Quei giovani sciocchi, infatti, si divertono in modo insulso ignorando la vera essenza spirituale di Halloween, che affonda le radici non certo negli USA ma in quella magica terra chiamata Irlanda e rappresenta uno dei simboli più antichi dell’Europa pre-cristiana. Scopriamola, questa essenza, anche nel commosso ricordo di un periodo che ha visto l’autore di questo articolo testimone diretto dei tragici eventi legati alla voglia di libertà di un popolo che, sia pure in forma ridotta rispetto al passato, subisce ancora una terribile vessazione.

SAMHAIN: IL VERO NOME DI HALLOWEEN

Era bella come il sole, Caitlin. La tipica bellezza che a venti anni esplode verso il massimo splendore, in lei sublimata dalla marcata personalità e dalla militanza nell’Irish Republican Army, che la facevano apparire ben più adulta, sia pure senza intaccarne la fisicità. Pioveva a dirotto, a Belfast, quel 31 ottobre del 1978. Cenavamo in un ristorantino non lontano dal muro nei pressi di Falls Road, che separa la zona cattolica da quella protestante. (Li chiamano “peace lines”, i muri di Belfast, ma muri restano). Era la mia prima volta a Belfast e mi batteva forte il cuore per essere insieme con una giovane donna, combattente per la libertà del suo popolo, appartenente alla più importante brigata dell’IRA, quella nella quale militava il mitico Bobby Sands! L’avevo conosciuta nell’estate dello stesso anno, a Roma, e ci eravamo scritti e telefonati spesso, dopo il suo rientro. Ben volentieri, ovviamente, accettai l’invito a trascorrere qualche giorno da lei, in occasione della Festività del Samhain. Lei era rimasta affascinata dalla mia passione per il mondo celtico e per il sostegno ideale alla causa indipendentista: elementi che senz’altro contribuirono a facilitare un approccio che sfociò subito in qualcosa di più intimo. Nei giorni trascorsi insieme a Belfast parlammo di tante cose e mi fu possibile decantare in modo più che esaustivo concetti e pensieri appassionatamente studiati su libri e riviste. (È appena il caso di ricordare che, in quel periodo, non esisteva “Internet”). Abitava in un piccolo appartamento non lontano dall’orto botanico e dalla Queen’s University, dove frequentava la facoltà di Biologia. La sua famiglia viveva a Feeny, un piccolo centro distante una novantina di chilometri a Nord-Ovest, nei pressi di “Derry”, altra città simbolo nel sanguinoso periodo dei troubles. Dalla finestra si scorgeva un bel tratto del Lagan, che offriva una visione suggestiva con le mille luci che assumevano un effetto cross-screen in virtù della pioggia battente. Mentre lo ammiravamo estasiati, teneramente abbracciati, fummo distratti dalla vista di qualcuno che era entrato nella stradina praticamente deserta, dal lato nord. La vidi incupirsi, ma senza scomporsi. “Chi sono?” – chiesi – avendo intuito dalla divisa che non erano certo persone a lei simpatiche. “Sono i bastardi della Royal Ulster Constabulary – replicò con voce ferma – sono spietati e provano un gusto sadico nel massacrarci. E sono irlandesi. Come me”. Vi sono frasi che valgono interi libri e in quelle parole si racchiudeva tutto il dramma di un popolo che da secoli viveva in una sorta di infinita guerra civile. Poliziotti irlandesi al servizio del governo di Sua Maestà, che reprimevano con ferocia inaudita altri irlandesi pronti a immolare la propria vita sull’altare di un antico sogno: “A nation once again”. Istintivamente e all’unisono volgemmo lo sguardo verso il mobile collocato sul lato opposto della stanza, non lontano dalla porta. Lo fissammo per qualche attimo e poi, sempre all’unisono, in una sorta di sincronismo telepatico, tornammo a guardarci negli occhi intensamente, accennando un mesto sorriso che trasmetteva lo stesso pensiero: non quella sera e non contro irlandesi. Tenendoci per mano ci dirigemmo verso il divano, restando a lungo in silenzio. Poi, finalmente, lei riprese a parlare. Mi disse quanto sarebbe stato bello trovarsi sulla collina di Tara (nell’Irlanda indipendente, non lontano da Dublino) dove si celebra il più rinomato festival dedicato all’antico rito celtico. “Parlami di Samhain”, le chiesi, mentre mi accingevo a mettere in funzione il portentoso “Akai”, munito di un nastro di circa di tre ore, pieno di brani musicali dei Dubliners e dei Chieftains, che attivai a basso volume. Attese che ritornassi sul divano, si sdraiò appoggiando la testa sulle mie gambe e, con voce calda e profonda, mi condusse in un magico mondo le cui radici si perdono nella notte dei tempi.

Samhain, capodanno per gli antichi Celti, celebra la fine dell’estate e l’inizio di un periodo di letargo che culminerà con il risveglio nella primavera successiva, quando i semi si trasformeranno in piante. Anche l’anima dell’uomo si rinnova, nella notte del 31 ottobre, spalancando le porte dell’aldilà e rendendo possibile ogni incontro, in un contesto che fonde elementi simbolici alla magia degli elementi, privi di ogni barriera: i morti possono venire di qua; i vivi possono andare di là. Un interscambio continuo in una notte che segna lo spartiacque tra due mondi, indissolubilmente legati. La morte viene esorcizzata gioiosamente con danze e fuochi che bruciano fino all’alba sulle colline sacre agli Dei, perché ogni fine è un nuovo inizio e ogni inizio è una nuova fine. Birra e idromele scorrono a fiumi dopo l’accensione dei fuochi da parte dei Druidi, che in tal modo danno il via ai banchetti. Si balla fino allo stordimento intorno ai roghi, che indicano anche la strada del ritorno alle anime smarritesi in quel ginepraio festoso, dovendo esse irrimediabilmente rientrare dall’altra parte entro l’alba. Al sorgere del sole ciascuno è al suo posto e i vivi rientrano nelle loro dimore portando una torcia accesa da uno dei falò. Un fuoco sacro utilizzato per rendere omaggio ai cari trapassati, perpetuando l’antico rito che vedeva i Celti custodire le ossa dei loro cari, ritenendo che ciò consentisse loro una sorta di benefico legame.

Chissà dove sarà ora Caitlin e se vi è andata, poi, sulle sacre colline di Tara. Io vi sono stato, molti anni dopo quella vacanza a Belfast, e non dimenticherò mai cosa significhi respirare un’aria antica, rimasta incontaminata, che ti consente un reale viaggio a ritroso nel tempo.

Questa sera milioni di persone, in tutto il mondo, si divertiranno in modo malsano, ubriacandosi fino a farsi male, scimmiottando la trasposizione grottesca di un antico rito, mutuato dagli USA con il nome di “Halloween”. Si stordiranno in gruppi, nei vari locali che sfruttano commercialmente l’evento mediatico. Il periodo che inizia con Samhain, però, è un periodo di riflessione, che dovrebbe consentire a ciascuno di iniziare un viaggio con sé stesso, lasciandosi alle spalle gli inutili fardelli per coltivare il nuovo seme da cui nascerà la pianta a primavera. Una sorta di rigenerazione spirituale che nulla ha a che vedere con dolcetti e scherzetti o altre amenità concepite ad arte per trasformare ludicamente ciò che appartiene all’intimo umano e quindi alla sacralità dell’essere. In Campania, grazie a De Luca, questo rito insulso, almeno quest’anno, non avrà luogo. L’invito che va rivolto ai giovani, pertanto, è quello di recuperare la vera essenza della festività e di tuffarsi nello studio di tutto ciò che essa rappresenta per lo spirito, insieme con le altre tre grandi festività che segnano le stagioni dell’anno: Imbolc, Beltane, Lughnasadh. Riscoprire le radici più lontane della nostra bella Europa vuol dire legarsi di più a essa. Non serve “Halloween” per divertirsi e chi si ubriaca  e si impasticca è solo scemo.

Il grande teosofo austriaco Rudolf Steiner concepiva “l’autunnale destarsi dello spirito” come occasione per rigenerarsi in una sorta di catartica palingenesi scevra di ogni contaminazione festaiola. Possano i suoi sublimi versi, tratti dal “Calendario dell’anima”, indurre tutti, soprattutto i giovani, a una piena riconsiderazione del proprio essere e del divenire: “Nella luce solare dell’anima germogliano i maturi frutti del pensiero. Ogni sentimento si trasforma in sicura conoscenza di sé. Gioiosamente mi è dato di sentire l’autunnale destarsi dello spirito! L’inverno desterà in me l’estate dell’anima. Solamente dalle profondità dello spirito anela all’esterno la luce. Diviene forza di volontà della vita e splende nella opacità sensoria per svincolarne forze che, dagli impulsi dell’anima, facciano maturare le potenze creatrici dell’umana opera”.

                                                                                    Lino Lavorgna

 

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