“Un numero senza precedenti di persone è stato sfollato entro la fine del 2020”, questo riserva il report dell’Onu per i Rifugiati. Molti fuggono, poi, da emergenze legate al clima come inondazioni e siccità, senza alcuna garanzia di un rapido ritorno, segno che le migrazioni come conseguenza della crisi climatica non sono solo allarmi lontani. Con l’aumento degli sfollati, è aumentato anche il numero di rifugiati che preoccupa l’UNHCR, quasi 92 milioni richiedenti asilo, sfollati interni, apolidi, rimpatriati di recente e comunità di accoglienza.
L’UNHCR e i suoi partner hanno risposto con determinazione. L’Agenzia afferma che molti Stati, non la stragrande maggioranza, hanno risposto in modo solidale, mantenendo aperti i percorsi per l’asilo e portando gli sfollati sotto la protezione dei loro programmi nazionali di pandemia.
Mentre la crisi del COVID-19 si svolgeva, i governi hanno agito rapidamente per contenere la diffusione del virus: in pochi mesi, 100 paesi avevano chiuso i loro confini, mettendo le popolazioni sfollate sotto stress e a rischio crescente. Eppure, in segno di solidarietà e rispetto per i diritti umani, alcune restrizioni alle frontiere sono state allentate per le persone in fuga da conflitti e persecuzioni.
I rifugiati e le altre persone preoccupate hanno ricevuto servizi sanitari essenziali in 68 paesi.
Risposta di crisi: Molte e molti dell’UNHCR erano in aree con sistemi sanitari in lotta, test e trattamento COVID-19 limitato e nessuna disposizione per l’isolamento o la quarantena. L’UNHCR si è mossa rapidamente per costruire o riabilitare strutture ospedaliere e per sostenere la risposta sanitaria, mentre esortava i governi a portare gli sfollati nei loro hub COVID-19. Anche se gran parte del trasporto globale era fermo, l’UNHCR ha inviato attrezzature di protezione, kit di test rapidi e altre forniture specifiche, per un valore di 186,1 milioni di dollari.
Quanto vuole evidenziare l’Agenzia è che, proprio nell’anno della pandemia mondiale, l’esodo delle popolazioni dalle proprie terre è cresciuto del 4%. Un dato preoccupante che esorta i leader mondiali a intensificare gli sforzi per promuovere la pace, la stabilità e la cooperazione.
Il report mette al primo posto di un’infelice classifica il popolo siriano, quello più coinvolto, con quasi sette milioni di persone in fuga. Seguono palestinesi e venezuelani.
I dati specifici presentano questo scenario: Siria (6,7 milioni), Venezuela (4,0 milioni), Afghanistan (2,6 milioni), Sud Sudan (2,2 milioni) e Myanmar (1,1 milioni).
In secondo luogo, si riporta che “la stragrande maggioranza dei rifugiati del mondo – quasi nove rifugiati su dieci (86%) – sono ospitati da paesi vicini alle aree di crisi e da paesi a basso e medio reddito. I paesi meno sviluppati hanno dato asilo al 27% del totale”.
“Per il settimo anno consecutivo, segue il dossier, la Turchia ha ospitato il numero più alto di rifugiati a livello mondiale (3,7 milioni di rifugiati), seguita da Colombia (1,7 milioni, compresi i venezuelani fuggiti all’estero), Pakistan (1,4 milioni), Uganda (1,4 milioni) e Germania (1,2 milioni)”.
Il dato rilevante resta quello delle domande di asilo in attesa a livello globale, che sono ai livelli del 2019 (4,1 milioni), ma gli Stati e l’UNHCR hanno registrato “circa 1,3 milioni di domande di asilo individuali, un milione in meno rispetto al 2019 (43% in meno)”.
Anche quest’anno, secondo i dati, sono 5,7 milioni i rifugiati palestinesi sotto il mandato dell’UNRWA (5,6 milioni nel 2019).
C’è infine chi fugge all’interno del proprio paese, abbandonando le case in Colombia, Mozambico, Sahel, Etiopia (specialmente nel Tigray) e nel Sudan.
Scenari figli di una crisi nella crisi, allarmi che sorgono da altrettante emergenze. In questa situazione non bisogna erigere muri, la solidarietà internazionale è elemento fondamentale di uno scorcio minimo di ripartenza.
Matteo Giacca
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