Le potenze del G20, in occasione della Cop26 di Glasgow, si sono incontrate a Roma per parlare di clima, pandemia e carbone. È stato rivelato, nella dichiarazione finale che chiude il momento istituzionale, che i governi “si impegneranno a fronteggiare la minaccia critica e urgente dei cambiamenti climatici e a lavorare insieme perché la Cop26 di Glasgow abbia successo”.
A tal fine, riaffermano l’impegno per una piena ed effettiva implementazione del Unfcc Cop e dell’accordo di Parigi. Nello sforzo per limitare l’innalzamento delle temperature medie entro 1,5 gradi, “accelereremo le nostre azioni su mitigazione, adattamento e finanza, riconoscendo l’importanza fondamentale del raggiungimento di zero emissioni di gas a effetto serra a livello globale o della neutralità carbonica entro o intorno la metà del secolo e della necessità di rafforzare gli sforzi globali necessari per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi”.
I Paesi del G20 si impegneranno, altresì, a raggiungere “l’obiettivo ambizioso di piantare mille miliardi di alberi, concentrandoci sugli ecosistemi più degradati del pianeta” entro il 2030. Ci si occuperà, poi, di mobilitare finanziamenti internazionali pubblici e privati per sostenere lo sviluppo di un’energia verde, inclusiva e sostenibile” e i paesi si avvieranno verso la “fine ai finanziamenti pubblici internazionali per nuova produzione di energia da carbone entro la fine del 2021”.
Nonostante le parole dei leader, che allo stato delle cose restano tali, dopo decenni di appuntamenti per il clima terminati sempre con belle prospettive mai tramutate in concreto interventismo internazionale sull’industria incriminata e su un’idea di sviluppo devastante per il futuro del pianeta, non sono mancate le mobilitazioni delle piazze No G20.
La piazza di Roma, stando anche a quanto riporta il portale internazionale Global Project, ha chiare le idee su clima, transizione energetica, fiscalità e questione nucleare. È per questo che il 30 e il 31 ottobre c’è stata piena opposizione al vertice G20 conclusivo di un quadro di eventi che ha compreso Venezia (economia e finanza) e Napoli (ambiente). Le piazze hanno portato il messaggio di accorpamento di giustizia climatica e sociale, tali da strutturare un’azione di contrasto al modello capitalistico portato avanti dai decisori politici autori del piano “Bla Bla Bla”.
Una convergenza di lotte che uniscano giustizia sociale, climatica, diritti al lavoro, restituzione di dignità alle persone, antirazzismo e antifascismo militanti.
Al termine di una settimana abbastanza turbolenta in quel di Roma, costellata da dichiarazioni, slogan e piazze in movimento, vi è solo una certezza: le temperature medie annue continuano a salire e i rapporti IPCC dell’Onu continuano a destare segnali preoccupanti. È errato parlare di via del non ritorno ma allo stesso modo le evidenze scientifiche dimostrano quanto sia cruciale un passaggio istituzionale drastico sull’economia rapportata all’ambiente.
Narrare la rabbia delle piazze significa tener conto di decenni in cui si è sempre più lasciata la questione climatica alla dialettica e si è teso sempre meno all’adozione di misure restrittive nei confronti di aziende climalteranti, che capeggiano ormai in un sistema economico ipercapitalistico.
A sostegno di tale tesi arriva l’analisi del media britannico The Guardian, il quale inviato a Roma richiama all’obbligo da parte dei 20 paesi di dover affrontare critiche per aver offerto pochi impegni concreti per raggiungere l’obiettivo reale in chiave crisi climatica. Il comunicato finale di domenica, in effetti, non prevede l’impegno di raggiungere entro il 2050 emissioni nette di carbonio pari a zero. I leader del G20 hanno semplicemente concordato una formulazione che sottolinea l’importanza di raggiungere lo zero netto entro o intorno alla metà del secolo, azione moderatrice che soddisfa le posizioni di Cina e Arabia Saudita.
Greenpeace, tra gli altri movimenti ambientalisti, ha definito la dichiarazione “debole e priva di ambizione e visione”, e ha detto che i leader del G20 “non sono riusciti a cogliere il momento” prima della conferenza sul clima di Cop26 a Glasgow.
E mentre si chiude un G20 si apre una Cop (conferenza delle parti) alquanto decisiva, partita il 31 ottobre in Scozia. Innanzitutto, si partirà dagli scheletri del fallimento della Cop25 di Madrid dell’anno scorso, quando tutto si concluse con negoziazioni protratte a lungo e mancanza di accordi sui mercati del carbonio.
Quest’anno, invece, si parlerà di decarbonizzazione, deforestazione e taglio delle emissioni. Si parte dalle promesse di paesi come Uk, Usa e Canada, i quali hanno già annunciato che aumenteranno gli sforzi per ridurre le emissioni. Molto più titubanti sembrano essere Cina e India.
Il primo grido di allarme in occasione di Glasgow 26 lo emette il premier Johnson: “Se fallisce Glasgow, fallisce il mondo”.
Le principali leader del movimento ambientalista Greta Thunberg, Vanessa Nakate, Dominika Lasota e Mitzi Tan hanno lanciato un appello urgente ai leader del mondo, in cui si legge: “Siamo disastrosamente lontani dall’obiettivo cruciale di 1,5 gradi, mentre i governi di tutto il mondo addirittura accelerano la crisi, continuando a spendere miliardi per i combustibili fossili. Questa non è un’esercitazione. È codice rosso per la Terra. Milioni di persone soffriranno per la devastazione del nostro Pianeta. Le vostre decisioni causeranno o eviteranno questo scenario terrificante. Sta a voi scegliere”.
Veniamo da un decennio nero per il pianeta, per la sopravvivenza del genere umano, innalzamento dei mari sopra il tetto massimo, temperature aumentate in modo anomalo e disastri ambientali moltiplicatisi nel giro di pochi anni ovunque nel pianeta.
Enough is enough. Un altro mondo non è solo possibile, bensì necessario.
Matteo Giacca
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