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Dad: non sia argomento opinabile

Nel convulso e caotico dibattito intorno alla pandemia, uno degli argomenti che tiene banco è la didattica a distanza, osteggiata da chi vuole tenere a “tutti i costi” le scuole aperte e invocata da chi ritiene opportuno ridurre quanto più possibile le occasioni di contatto tra le persone.

L’argomento è molto delicato perché ingloba aspetti che trascendono la problematica analizzata e investono l’approccio dialettico ad  essa tributato.

Un approccio che,  sempre più, si configura come un “problema nel problema”.

La libertà di parola e di pensiero, manco a dirlo, è sacra. Esiste, tuttavia, un limite che, se superato, ne riduce gradualmente la portata, fino ad annullarla, a seconda della considerazione tributata ai concetti espressi. Nessuno, per esempio, dà peso alle parole dello scemo del villaggio che parla di complotti mondiali, nel bar dello sport, alternando birra e gassosa: la libertà di parola, in virtù della sua particolare condizione, viene estesa senza limiti.

Altra cosa sono le baggianate sciorinate da soggetti che rivestano ruoli di una certa importanza: a loro non può essere concessa alcuna estensione e se beccati è giusto che paghino il fio della loro dabbenaggine, come nel caso della grottesca vicenda calabra, alla ribalta della cronaca.

Dogma è una parola che non piace a molti, soprattutto a certi intellettuali con la puzza sotto il naso e doppia faccia: aperti e tolleranti in pubblico; nevrotici e intolleranti in privato. Essa, invece, non deve spaventare e va inquadrata nella sua reale essenza etimologica: “Principio che si accoglie per vero o per giusto, senza esame critico o discussione”.

Si accoglie, ossia siamo noi che stabiliamo il dogma, in funzione di scelte oculate. (Almeno così dovrebbe essere).

Una pandemia, oltre a creare nuovi problemi,  radicalizza, esasperandole fino al parossismo,  tutte le contraddizioni che vigono nelle relazioni sociali. Questo insieme si trasforma nel caos che ci disorienta e spaventa, nonostante i punti fermi quotidianamente ripetuti un po’ da tutti, a mo’ di mantra: distanziamento, igiene, mascherina.

Se si riducono al minimo i contatti tra le persone si riduce drasticamente la possibilità di contagio, sostengono gli esperti, e il principio è stato recepito, oramai, come “dogma”, essendo confutato solo da soggetti cui nessuno si sogna di dare credito. Parimenti, quindi – o forse ancor più – il principio dovrebbe valere anche per la scuola: ridurre l’utilizzo dei trasporti pubblici, spesso insufficienti e fatiscenti (non ci vuole molto per reperire in rete le tristi e drammatiche immagini di treni e autobus strapieni); evitare che i ragazzi contraggano il virus e lo trasmettano a genitori e nonni e così via. L’alternativa alla scuola in presenza, oggi pericolosa,  è la didattica a distanza che, pertanto, deve diventare “dogma”, ossia argomento non passibile di discussione.

È un vero errore, quindi, consentire che genitori, docenti e chiunque altro, ivi compreso il ministro Azzolina, si cimentino in lunghe  filippiche sull’importanza delle lezioni in aula. Nessuno la mette in discussione! Vi è un’emergenza grave, purtroppo, che richiede un prezzo da pagare e non si può fare finta di nulla.  Qualche sera fa, in un programma televisivo, una tizia in cerca del suo quarto d’ora di celebrità – ne stanno uscendo a iosa –  si è prodotta in una lunga e noiosa litania: “Che ne sarà di questi giovani! Neghiamo loro il diritto alla cultura! Stiamo distruggendo una generazione che non avrà futuro! Come faranno a recuperare il tempo perduto?”. Stacco su Bersani, che accenna un compassionevole sorriso e replica: “Recupereranno”. Della serie: come smontare con una semplice parola un lungo ragionamento insulso.

Sarebbe cosa buona e giusta, pertanto, se d’ora in avanti si analizzassero i problemi della didattica a distanza (che ovviamente non mancano) in un contesto fine a sé stesso, senza comparazioni, dando per scontato che da essa non si possa prescindere. Una comunicazione ottimale è sempre fondamentale per indurre le persone a non guardare il dito mentre si indica la luna e, in momenti drammatici come quelli che stiamo vivendo, per agevolare la rapida attuazione di quei provvedimenti spesso rallentati dagli inutili paletti piantati da chi non sappia fare i conti con la realtà, o peggio, si rifiuti di farli per fini strumentali.

Lino Lavorgna

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