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Clandestini: proposte indecenti per risolvere il problema

La pandemia ha relegato in secondo piano l’attenzione sui flussi migratori, già preda di una sorta di oblio mediatico insorto dopo l’addio di Salvini al Viminale, essendo italica consolidata abitudine conferire un livello di gravità ai vari problemi a seconda delle persone intente a risolverlo: se queste ultime, ancorché inefficienti, sono gradite alle classi dominanti, palesi e occulte, il problema magicamente sparisce nonostante la crescita esponenziale dovuta proprio all’inconsistenza dei risolutori.

Di fatto, limitandoci al solo 2020, i dati che emergono lasciano chiaramente intendere il disfacimento dello Stato al cospetto dell’annoso fenomeno: 19.194 i clandestini sbarcati fino al 30 agosto e circa trentamila in totale nel corso dell’anno.

Per lo più i clandestini provengono da Tunisia, Algeria, Marocco, Bangladesh, Costa d’Avorio, Pakistan, Sudan: non fuggono da guerre o carestie, pertanto, e pur nella considerazione del legittimo desiderio di costruirsi un futuro migliore, non avrebbero diritto, a norma di legge, a nessun trattamento diverso dal respingimento o dall’espulsione immediata. I flussi hanno fatto inevitabilmente registrare un’ampia presenza di soggetti positivi al Covid-19, anche se i dati certi mancano e si tende a eludere il problema o addirittura a gestirlo in modo mistificatorio al fine di mitigarne la portata.

Delle possibili azioni di contrasto, logiche ed efficaci, se ne discute da sempre e non mancano le proposte sensate che, se attuate, potrebbero contenere sensibilmente il problema o risolverlo in toto. Parimenti non sono pochi coloro che hanno indagato sulle ONG mettendone in luce gravi distonie operative configurabili come veri e propri reati:  favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e collusione con i trafficanti di esseri umani che operano dalla Libia.

Denunce e inchieste, però, sono rimaste lettera morta e persiste quell’atteggiamento di falso buonismo deleterio soprattutto per i diretti interessati, i cui sogni s’infrangono su una triste realtà che li trasforma in emarginati, schiavi,  mano d’opera per la criminalità e in manna dal cielo per i cinici gestori dei centri di accoglienza. È perfettamente inutile, quindi, continuare a battere su questo tasto perché è come parlare al vento.

Si può fare ricorso, pertanto, anche se a titolo provocatorio, al cosiddetto “pensiero laterale”, che consente di individuare la risoluzione di un problema partendo da una prospettiva che escluda il tradizionale metodo logico, istintivamente da ciascuno utilizzato, che magari ne offre molteplici, senza però che nessuna di essa abbia effettiva possibilità attuativa per i più svariati motivi.  

I Paesi europei, come noto, hanno lasciato praticamente da sola l’Italia nel fronteggiare i flussi provenienti via mare, comportandosi in modo vergognoso. Se si riuscisse, pertanto, a trovare il modo  di metterli con le spalle al muro, si otterrebbe un risultato che potrebbe sorprendere per efficacia e tempistica.

L’isola di Lampedusa, primario e martoriato approdo dei barconi che trasportano i migranti irregolari, ha una superficie di 20,2 Km2 (il doppio di Capri, poco meno della metà di Ischia) e circa seimila abitanti. 

L’idea “indecente” è la seguente: suddividere l’isola in due entità territoriali separate da una linea di confine che, partendo da Capo Ponente e terminando a Cala Creta (poco meno di otto chilometri in linea d’aria), consenta di definire una superficie identica tra la zona nord e quella sud.

Le due entità territoriali, quindi, dovrebbero essere vendute a Francia e Germania. I residenti potrebbero scegliere tra tre opzioni: restare nell’isola, acquisendo la nuova cittadinanza; accettare un trasferimento in un comune del territorio nazionale con forte sussidio dello Stato e mantenimento dell’eventuale impiego pubblico; restare nell’isola mantenendo la cittadinanza italiana, come qualsiasi lavoratore che risieda in un Paese dell’Unione. Dopo tutto si tratta di poche migliaia di persone ed è lecito ritenere che in maggioranza deciderebbero di restare nell’isola.

Lo Stato che acquisti la zona nord potrà realizzare un secondo porto e magari anche un secondo aeroporto, fatta salva la possibilità di trovare un accordo per suddividersi quello già attivo.

La presenza “attiva” dei due Paesi nel Mediterraneo, con dislocazione di un contingente delle rispettive Forze Armate, sicuramente creerebbe le premesse per un blocco delle partenze e un sostanziale cambio di rotta della politica comunitaria in tema di gestione dell’immigrazione illegale!

Francia e Germania potrebbero rifiutare la proposta, ovviamente, e in questo caso, volendo essere ancora più “provocatori”, il pensiero laterale suggerisce una soluzione addirittura più efficace: vendere l’isola agli Stati Uniti d’America, che di certo non si farebbero pregare due volte per mettere piede nel Mediterraneo senza essere “ospiti” dei Paesi alleati e per giunta senza alcuna necessità di deturpare il territorio costruendo un secondo porto e un secondo aeroporto!

Vi è qualcuno, ammesso che ciò fosse possibile, capace di dubitare che nel giro di un paio di mesi di barconi alla deriva e di ONG in cerca di “porti sicuri” non si sentirebbe più parlare?

                                                                                     Lino Lavorgna

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