Luigi De Stefano, questore in pensione, è morto all’età di 73 anni. Originario di Somma Vesuviana, diresse il commissariato Scampia durante la prima faida di camorra.
Seimila anni di storia non ci hanno insegnato ad accettare la caducità della vita, magistralmente riassunta nella famosa frase che qualche monaco medievale scrisse nel De Imitatione Christi: “Sic transit gloria mundi”.
Luigi De Stefano ha combattuto il male rischiando la vita, ha arrestato boss latitanti del calibro di Pasquale Scotti e Francesco Schiavone “Sandokan” e si è dovuto arrendere a una banale e bruttissima caduta domestica, che lo ha portato a intraprendere l’ultimo viaggio dopo alcuni giorni di rianimazione presso l’ospedale San Pio di Benevento. Lascia due figlie: Maria Luisa, veterinaria, che vive in Inghilterra; Benedetta, funzionaria di una importante multinazionale svizzera, con sede italiana in Lombardia. Originario di Somma Vesuviana, si divideva tra l’abitazione di famiglia, a Napoli, nella più bella strada del Vomero, e la casa di campagna nel Sannio beneventano, ubicata su una collina dalla quale era solito godersi gli stupendi tramonti. De Stefano era il classico “sbirro” dal forte fiuto investigativo, affinato dall’intelligenza che pervade chiunque sappia immedesimarsi negli altri, per comprenderne i pensieri alla base delle possibili conseguenti azioni. Entrò in Polizia nel 1973 e prestò servizio alla squadra mobile della Questura di Milano, per poi guidare quella della Questura di Caserta, oltre ai Commissariati di Santa Maria Capua Vetere, Aversa e Scampia, durante la prima faida di camorra. Trasferito a Roma su richiesta del questore Arnaldo La Barbera, collaborò all’arresto del terrorista latitante Nicola Bortone, nel 2002. I suoi successi più clamorosi furono la cattura del capoclan casalese “Sandokan” dopo un inseguimento in Francia, a Millery, negli anni ’80, e quella di Pasquale Scotti, nel dicembre 1983, dopo un ben architettato assedio alla masseria di Caivano, in cui si era rifugiato, e una furiosa sparatoria. La fuga del boss dall’ospedale di Caserta, la notte di Natale 1984, lo prostrò moltissimo, anche in virtù dei forti sospetti su complicità non facilmente dimostrabili ma sulle quali non nutriva dubbi. Non avendo mai creduto alla sua morte, contrariamente a tanti altri, nel 2015 scrisse un libro: “Il fantasma della camorra – le mille vite del superlatitante Pasquale Scotti”, coadiuvato dai giornalisti Enzo Musella, Gianmaria Roberti e Gaetano Pragliola. Come sempre, aveva ragione. Dopo poche settimane dall’uscita del libro Pasquale Scotti fu catturato a Recife, in Brasile, dove aveva trascorso i 31 anni di latitanza.
Il rito funebre si terrà a Napoli domani, 12 febbraio, alle ore 11, nella chiesa di San Gennaro al Vomero.
Lino Lavorgna
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