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4 novembre: sia festa nazionale

Prologo
“Cercheremo di narrare, pertanto, una storia importante dalla quale trarre spunti per meglio guardare dentro noi stessi, magari per rimettere in discussione pensieri e convincimenti che ci accompagnano da sempre, grazie anche a una storiografia per certi versi pasticciona, per altri palesemente bugiarda e, solo molto raramente, se non proprio “obiettiva”, quanto meno “onesta”.

Diradare le troppe nubi che offuscano la verità storica e capire da dove veniamo può facilitare il cammino, soprattutto ai più giovani, verso un futuro che assomiglia sempre più a un’autostrada priva di barriere divisorie, nella quale tutti corrono all’impazzata, in qualsiasi direzione, distruggendosi vicendevolmente. Uno scenario terribile, ancor più nefasto di qualsiasi guerra. […] La Prima guerra mondiale, per l’Italia, si chiuse con il famoso bollettino emanato dal generale Armando Diaz, anche se solo nei giorni successivi si perfezionarono le occupazioni di Pola, Sebenico, Valona, Cattaro, dove le truppe italiano non furono accolte con molto entusiasmo, e Zara, che invece accolse con trepidante gioia i nostri soldati. Il 17 novembre anche Fiume diventò italiana, creando le premesse per future tensioni tra l’Italia e gli alleati.

L’Italia aveva conquistato le terre irredente pagando un alto prezzo in vite umane: 651mila soldati e 589mila civili. Un intero popolo aveva sofferto dure privazioni per tre anni e mezzo, contribuendo con tutte le proprie forze al successo finale perché, come più volte scritto, la Prima guerra mondiale fu “guerra totale” grazie all’impiego di tutte le risorse disponibili. L’Italia, finalmente, poteva definirsi geograficamente unita. Restava da costruire l’unità nazionale, perché, ancor più di quanto non fosse vero nel 1860, “si era fatta l’Italia e ora bisognava fare gli italiani”. Ma questa è tutta un’altra storia. (Lino Lavorgna, “Il Piave mormorava”, saggio pubblicato a puntate sul mensile “Confini” da gennaio a novembre 2018. Cliccare sul titolo per accedere alla raccolta).

L’unica data in grado di unire tutti gli italiani

Il 3 novembre 1918, a Padova, nella villa del conte Vettor Giusti del Giardino, senatore del Regno, fu siglato l’armistizio che pose fine alla Prima guerra mondiale, non a caso definita anche “Quarta guerra d’indipendenza italiana”, dal momento che, con la riannessione di Trento e Trieste, si perfezionò l’unificazione territoriale, politica e istituzionale del Paese.

L’armistizio entrò in vigore il giorno successivo e, nel 1919, fu istituita la “Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate”, con valore di festa nazionale. Nel 1977, un po’ per il clima politico dell’epoca, condizionato da una sinistra che addirittura riteneva il 4 novembre un giorno di “lutto”, e un po’ a causa della crisi petrolifera, che indusse molti governi dei paesi occidentali a varare le disposizioni di contenimento dei costi energetici note come “austerity”, l’evento fu spostato alla prima domenica di novembre, pur di non perdere un giorno lavorativo.

Nel 2018, Pasquale Trabucco, ex ufficiale, al fine di sensibilizzare opinione pubblica e istituzioni sul rispristino della festività, fondò il comitato “Noi stiamo con Pasquale Trabucco” e organizzò unna raccolta di firme, personalmente curata percorrendo a piedi 1750 km, dal comune italiano più a nord (Predoi, Bolzano) fino a quello più a sud (Portopalo di Capo Passero, Siracusa). Durante il tragitto fu ricevuto dai sindaci delle città attraversate, depose fiori alla base dei tanti monumenti ai Caduti e illustrò lo scopo della sua iniziativa, culminata con la visita al sindaco di Roma, dopo aver reso onore al Milite Ignoto in una toccante cerimonia.

L’assidua campagna del tenente Trabucco ha avuto alta eco mediatica e ha scosso le coscienze. Il 27 marzo 2019, un importante raduno a Roma (di seguito il link al video realizzato per l’occasione: “Noi stiamo con Pasquale Trabucco”)  registrò la  presenza di delegazioni provenienti da tutta Italia, creando ulteriori presupposti per l’iter legislativo, solo in parte rallentato dalle vigenti contingenze. Il comitato è pienamente operativo, comunque, e la sua attività non potrà che concludersi con una piena vittoria, da dedicare soprattutto ai nostri nonni, immolatisi sulle fredde alture alpine e negli altopiani carsici per conferire alla patria piena dignità territoriale.

Una proposta per il 4 novembre: piantiamo un albero

Nulla più di un albero può simboleggiare la speranza per un domani migliore, per la fiducia nel futuro, anche durante i giorni bui. Novembre è il mese ideale per piantare una grande varietà di arbusti, sia di frutta sia ornamentali: melo, pero, albicocco, ciliegio, pesco, pino, mimosa, ulivo, acacia, mirto crespo, oleandro, tiglio e altri ancora, seguendo i validi consigli del vivaista, possono essere facilmente impiantati in qualsiasi giardino.

Sarebbe bello, pertanto, se all’alba del 4 novembre in tanti ci cimentassimo in questa attività, documentandola per renderla fruibile attraverso i social.

I militari, in servizio e non, indossino la divisa e conferiscano al gesto la giusta valenza simbolica. Un albero è forte e fragile allo stesso tempo e va preservato con cura, proprio come la vita umana. Le sue radici ci collegano alla terra, proiettandoci in quel potere ctonio che alimenta il nostro essere e il nostro divenire. Si spieghi soprattutto ai giovanissimi il senso dell’iniziativa e si faccia loro percepire l’importanza del simbolismo sano, tanto più valido quanto più oggi si riscontri la becera diffusione di troppi simboli malsani.  

Grazie ai simboli possiamo legarci ai valori più nobili e orientare il nostro cammino, come ben insegna Johann Jakob Bachofen: “Il simbolo desta un presagio, mentre la lingua può solo spiegare. Il simbolo fa vibrare le corde dello spirito tutte insieme, mentre la mente è costretta a darsi a un singolo pensiero per volta. Il simbolo spinge le sue radici fino alle più segrete profondità dell’anima, mentre la lingua giunge solo a sfiorare, come un lieve alito di vento, la superficie dell’intelletto: quello è orientato verso l’interno, questa verso l’esterno. Solo al simbolo riesce di raccogliere nella sintesi di una impressione unitaria gli elementi più diversi. Le parole fanno finito l’infinito, i simboli conducono invece lo spirito di là dalle frontiere del mondo finito e diveniente, verso il mondo infinito e reale”.

L’albero, crescendo, protenderà i suoi rami verso il cielo, obbligandoci ad alzare lo sguardo e a legare le radici terrene a quelle più remote, di figli delle stelle.

Si spieghi ai giovani e giovanissimi che le Forze Armate sono un simbolo importante per l’unità del Paese e che i caduti di tante guerre non possono e non devono essere dimenticati, bensì “degnamente” commemorati, anno dopo anno, affinché il loro sacrificio funga da insegnamento e da stimolo per preservare la pace, prevenendo qualsivoglia tentazione tirannica, da chiunque perpetrata.

Confucio diceva:   “Il momento migliore per piantare un albero è vent’anni fa. Il secondo momento migliore è adesso”. Piantiamo il nostro albero, quindi,  e incamminiamoci con rinnovata speranza verso il futuro, vivendo pienamente il presente, traendo insegnamento dal passato.

Lino Lavorgna

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