Lo spettacolo verrà realizzato dal laboratorio teatrale del Liceo Mazzini, curato da Adriana Russo Crescenzi, si terrà mercoledì 22 maggio alle 17
Mercoledì 22 maggio alle ore 17,00 al Teatro Salesiani (via Morghen al Vomero) andrà in scena “L’isola degli schiavi”, liberamente ispirato all’Isola degli schiavi di Pierre Carlet de Chamblain de Marivaux, testi di Bertolt Brecht, Tommaso Campanella, Rosario Crescenzi, Giorgio Gaber, adattamento drammaturgico e messinscena di Adriana Russo Crescenzi.
La scelta di questo testo di Marivaux è servita come incipit per costruire un’articolata riflessione sulle ingiustizie sociali utilizzando ed indagando autori molti diversi e lontani tra loro (Brecht, Caparezza, Bennato, Platone, Moore, Crescenzi, Gaber, Campanella, spaziando dai classici ai contemporanei, dal teatro di parola alla poesia civile fino ai testi di cantautori impegnati).
Allievi di quattordici classi, di differente fascia d’età e di indirizzo di studio, ogni settimana, da novembre a maggio, si sono cimentati con la pratica teatrale: impostando la voce e correggendo la dizione, imparando parole e gesti, costruendo e definendo personaggi, immaginando scene e costumi e realizzandoli con le proprie mani, confrontandosi e conoscendo nuovi “compagni” con i quali in un contesto tra pari, vivere nuove emozioni per acquisire, attraverso la pratica del fare (pittura, musica, danza, canto, recitazione), competenze trasversali ed alimentare nuove passioni.
Il teatro, per il fatto di avvalersi di una pluralità di forme espressive, impegna integralmente chi sceglie di praticarlo.
Fare teatro e vivere gli eventi teatrali nelle sue molteplici dimensioni, significa sia affinare l’individuale sensibilità emozionale di fronte al fenomeno della spettacolarizzazione, sia porre le premesse per l’acquisizione di capacità di lettura ed analisi dei testi.
Praticare teatro nelle scuole o, meglio ancora, educare alla “teatralità”, rappresenta una strategia didattica che da sempre avvicina gli alunni ai linguaggi della parola, del gesto, dell’immagine e del suono.
Lo spazio teatrale, definito anche come un “luogo dei possibili”, ha la sua continuità e durata nella storia, perché produce non opere, ma modi di operare; diviene il luogo della scoperta e della possibilità, lo spazio in cui fantasia e creatività possono esprimersi liberamente.
L’attività teatrale nasce proprio dalla necessità di apprendere, sperimentare ed utilizzare tecniche diverse di narrazione sviluppando ed accrescendo tra i giovani capacità rielaborative creative e fantastiche.
La rappresentazione verrà realizzata dal laboratorio teatrale del Liceo Mazzini di Napoli, condotto da Adriana Russo Crescenzi, in collaborazione con Silvana Rinaldi.
Protagonisti dello spettacolo saranno: Peter Gombos (prologo, intermezzo, epilogo), Luigi Miliano (coro), Lorenzo Amoddio (messer Pancrazio), Riccardo De Pasquale (Pasquino, suo servitore), Baktygul Bolotbekova (Donna Letizia), Mariachiara Annella (Smeraldina, sua servetta), Yenuli Agampodige, Ruben Almeida De Brito, Benedetta Bellisario, Giulia Elefante, Ernesto Lione, Eugenio Mendella, Andrea Monti, Marzia Pesole, Mariarosaria Putignano, Alice Mirsha Santoro e Eleonora Strazzullo (Cittadini dell’Isola); Sofia Caturelli e Giulio Iacolucci (al pianoforte); Valeria Attanasio, Vittoria De Masi, Emiliana Esposito, Simona Fioravante, Martina Francia (movimenti danza); Raffaele Cuomo, Antonia Di Nola, Libero Flavio Fusco, Sabrina Mallardo, Gabriele Russo, Giulia Scarpetta, Camilla Tortora e Sara Zambrino (dietro le quinte).
Lo spettacolo
Il prologo del “Signor G” ci introduce alla visione di una storia… anzi di una “favola”. Entrano in scena messer Pancrazio e Pasquino, rispettivamente padrone e servitore, che in seguito ad un naufragio sono approdati in questo luogo.
Messer Pancrazio rivela al pubblico che sono arrivati su un’isola molto particolare, l’isola degli schiavi, dove la legge fondamentale che vi regna è: i servitori diventano padroni e i padroni i loro schiavi.
Sull’isola hanno fatto naufragio anche Donna Letizia e Smeraldina, rispettivamente padrona e servetta.
Le due coppie di personaggi sono invitate dalla comunità degli abitanti dell’isola, numerosi cittadini che qui vivono e che fanno rispettare le leggi che la regolano, a scambiarsi il ruolo.
I nostri protagonisti non si scambiano solo il loro ruolo sociale, ma anche il nome e i vestiti.
Questo perché tutti i cittadini presenti sull’isola sperano che con tale scambio si possa attuare una vera e propria riforma morale dei padroni e si possa mitigare anche il risentimento dei loro servi/schiavi.
L’immagine del mondo capovolto è senza dubbio l’immagine che domina l’universo dell’Isola degli schiavi e in questo senso il naufragio sull’isola è, in particolare per i padroni, soprattutto un viaggio verso il basso.
Sostituendosi ai loro padroni, i servitori cercano di imitare le loro maniere e il loro linguaggio, ma vi riescono in maniera maldestra, buffa, Pasquino e Smeraldina mostrano di essere a disagio nel nuovo ruolo, incapaci di trasformarsi del tutto nei loro padroni.
Pasquino non può credere davvero, né convincere qualcun altro, di essere un padrone, proprio perché è tradito dalle sue maniere e soprattutto dal suo linguaggio.
Si tratta di smascherare l’altro, di smascherare chi detiene il potere. Il potere che i padroni esercitano sui lori servitori e quello che gli uomini esercitano sulle donne hanno in comune l’essere l’oggetto di una passione: appunto, quella per il potere.
E soprattutto sono animati da un’opinione eccessivamente elevata di loro stessi, che li conduce a voler piegare la realtà in maniera conforme a questa immagine falsata che loro stessi hanno creato della loro potenza: l’immagine di un potere immaginato e immaginario.
Nel corso della narrazione, interrotta da momenti di approfondimento, i nuovi padroni (Pasquino e Smeraldina) impareranno presto la lezione e perdoneranno i loro padroni perché l’esercizio della ragione favorisce un’osservazione differente del mondo e della società. Smeraldina dirà: «Bisogna avere l’animo generoso, sentimenti virtuosi e tanto buon senso.
Ecco di cosa c’è bisogno, ecco cosa è davvero importante, quello che distingue, che fa un uomo migliore».
È dunque necessario far prendere coscienza a tutti del carattere artificiale delle differenze di classe al fine della sparizione delle distinzioni non oggettive tra gli uomini. Q
uesto il messaggio settecentesco che arriva a noi mediato dagli eventi che hanno travolto la società fino ai nostri tempi che resta ancora nella sostanza una società inegualitaria.
La denuncia delle diseguaglianze sociali può partire soltanto da una circostanza eccezionale, quella del naufragio, in un luogo eccezionale, l’isola, che conduce appunto a una situazione di crisi che favorisce il capovolgimento dei ruoli abituali.
Per Marivaux è solo attraverso l’esperienza dell’inferiorità che i grandi e i padroni possono capire la natura del loro potere.
L’esperienza utopistica dell’isola non ha come risultato quello di cancellare le differenze tra gli uomini, ma permette di pensare la natura umana come conflittuale, perché consente di comprendere l’altro che è in noi, che agisce su di noi e soprattutto vive con noi.
I personaggi, circondati dall’acqua, non dispongono d’alcun mezzo per abbandonare l’isola. Non possono evitarsi. La scelta di tale spazio rende dunque il confronto inevitabile: è una prigione, soprattutto per i padroni, è un luogo nel quale sono obbligati ad ascoltarsi.
Un luogo ideale che diventa uno spazio di comunicazione reciproca fondata sulla logica dell’identità e della differenza.
E questa logica ha un senso prima di tutto politico, perché la sua funzione è quella di regolare la soggettività umana all’interno della comunità.
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